31 Io in Albania Ottobre 2022

 



Prologo

Cogito ergo sum!

-Penso dunque sono, esisto!- L’esistensa dell’uomo, sostiene l’Ingegner Fritz Von Baumann, è subordinata all’attività intellettiva, al pensiero indipendente: se pensiamo esistiamo, altrimenti siamo solo carne animata, che vive di istinto ed emulassione,  alla stregua della stragrande maggioransa dell’umanità! Seguire una moda od un influenser -come ora accade-, identificarsi in uno stereotipo, attendere ad un ruolo, magari correlato all’età, svilisce la natura umana, trasformando l’uomo in un fantoccio. Maturare un pensiero proprio, autonomo -anche turpe o inusuale- restituisce dignità all’uomo e ne conferma l’esistensa: sottolinea che quella persona esiste, c’è! Questo non è funsione dell’idea in sé, ma del solo sviluppo dell’idea stessa: se penso esisto, se mi allineo smetto di esistere come essere unico ed irripetibile e divento un clone!
Il pregiudissio, il comun parere, il pensiero condiviso sono quelle cose che ci depauperano della nostra dignità, ci assurgono al vile rango di inutili repliche, di carni animate. Un pregiudissio molto diffuso in Italia è quello che assimila gli Albanesi a gente abietta e dedita al crimine e l’Albania ad ostello di povertà e delinquensa. Giunto in Italia negli Anni Novanta, anche l’Ingegner Fritz Von Baumann non è stato immune al pregiudissio antialbanese, poiché in quegli anni era diffusa la malsana convinsione secondo la quale tutti i crimini riferiti dalla cronaca fossero compiuti da albanesi. Infervorato dalla verve di divellere quel bieco castello di calunnia e ignoransa e mosso dal magellanico desiderio di scoperta, dopo l’Islanda, l’Ingegnere partì per l’Albania, tornando dopo sette anni nei Balcani.

 

Venerdì, 28 Ottobre 2022

Terra sospesa fra Oriente ed Est-Europa è l’Albania, con uno lato lambito dall’Adriatico ed uno rivolto alla Grande Madre Russia. Breve ma intensa è la storia del Paese delle Aquile, una storia che lo vede ancestralmente legato all’Oriente salvo alcuni istanti di indipendensa, subito cessati con l’arrivo dello straniero. Con la Scissione dell’Impero romano, l’attuale Albania rientrò nei confini dell’Impero di Bisansio per diventare indipendente solo nel Secolo IX, ponendo Krujë a capitale del Principato di Arbanon. Nel 1478, dopo ventiquattro anni di valorosa difesa, guidata da Giorgio Castriota già Scandenderg, il Principato tornò sotto l’egida turca fino agli albori della Grande Guerra durante la quale, con la caduta dell’Impero Ottomano ed il sostegno dell’Italia, l’Albania riacquistò la sua indipendensa, per poi entrare nel campo gravitassionale dell’URSS con Enver Hoxha. Divenuto finalmente libero nel 1991, lo Stato Balcanico dovette fronteggiare una gravissima crisi economica, che si tradusse nell’esodo degli albanesi verso la Puglia. Seppur laconica e qui brutalmente sintetissata, la storia mostra come questo paese sia atavicamente legato alla Turchia, bastione d’Oriente, all’Italia ed all’Europa Orientale. La Geografia è perentoria e l’Albania, quale stato balcanico, ha subito l’influensa slava, delle vicine Jugoslavia, Bulgaria, Romania ed Ungheria e dell’Italia, che ne ha favorito l’indipendensa dopo il Primo Conflitto Mondiale e negli anni del Fascismo, infine è stata porto d’approdo durante la crisi post-comunismo. Edotti sulle travagliate vicende dello stato, possiamo profilare l’Albania e gli albanesi come una terra ed un popolo dalle due anime, una orientale ed una occidentale. Questo lo evinciamo da qualsiasi sfaccettatura: la religione predominante è quella islamica, pur essendo diffuso il Cristianesimo Cattolico ed Ortodosso; la cucina non è così dissimile da quella turca o slava: infatti fra le principali pietanse sono annoverati i Sarma e i Baklava, rispettivamente rollè di foglie di versa, molto simili ai Gołąbki polacchi e diffusi in tutta la Slavia e tipici dolcetti turchi; l’abbigliamento richiama quello ottomano e slavo e ad esemplificare ciò vi è il Qeleshja, tradissionale copricapo albanese, imparentato con il Fes dei turchi o i gilet, tanto cari agli ungheresi ed ai romeni; architettonicamente, Tirana appare come un prato fiorito, i cui fiori sono gli austeri e spartani palassoni sovietici, i basar, le moschee e le chiese ortodosse e cattoliche in minoransa.
Atterrati dopo soli trenta minuti di volo all’Aeroporto Internassionale di Tiran Rinas, “Nënë Teresa”, Ing.Fritz, Mamma Ins.Ingrid e Fratello Linguista raggiunsero il loro alberghetto e subito evocarono Sagabria. Appena arrivati, i quattro furon colpiti dalla fatiscensa degli edifici e dall’atmosfera post conflitto, infatti i quartieri più periferici della capitale croata rimandavano agli anni della Guerra dei Balcani, così come quelli di Tirana. Lungi dall’assumere tinte denigratorie, la precedente assersione afferma che uno stato reduce da anni di dittatura comunista di orientamento marxista ed isolassionista, da gravi crisi economiche, totale assensa di industrie, interrussione di rapporti commerciali con l’estero ed economia da terso mondo non può ostentare palassoni in vetro ed acciaio, ma rabberciare con quanto lasciato dai precedenti governi, in attesa di tempi migliori e imminenti. Or sono anni che l’Albania ha presentato domanda di adesione all’UE e già nel 1997 ha sottoscritto gli Accordi di Maastricht, il che dimostra quanto sentito sia il desiderio di diventare un paese occidentale, anche se i fanstasmi del passato ancora volteggiano fra le strade del paese.
Consapevoli di ciò i tre schiusero la porticina e si trovarono in una stansa pulitissima e che nulla aveva da invidiare a quella degli altri alberghi da loro praticati e per di più, con immensa gioia dell’Ingegnere, in tutte le stanse c’era il frigorifero. Ciò fu un graditissimo regalo, infatti in ogni suo viaggio Fritz ha irosamente lamentato l’assensa del frigo in camera, frigo che divenne utile già dopo la prima cena.
Lasciata la Guesthouse M&S, i tre si diressero in centro per il giretto di rodaggio della capitale e per provare la cucina locale: prima attrassione incontrata fu la ETC Galeria. Nel corso del viaggio, Ins.Mamma Ingrid, Ing.Fritz e Prof.Linguista con grande gioia constataron la grande stima ed amicissia che gli albanesi nutrono nei confronti dell’Italia e come imitato sia il Bel Paese e la ETC Galeria ne è un esempio. Imperativo categorico della Belle Époque fu la mondanità, che da sempre cavalca il destriero che predilige gli sfavillanti viali pedonali dello shopping e, nel tempo in cui le pesanti armature furon conseravate in cantina e gli eleganti ombrellini da passeggio pullulavano nelle città, nacquero le gallerie commerciali: nell’Italia dell’Epoca Bella, la Galleria Umberto I e la Galleria Vittorio Emanuele II erano gli “anelli ippici” di Napoli e di Milano e solo nel  2006 anche Tirana si dotò di una galleria commerciale, appunto la ETC Galeria. Tralasciando la relatività del tempo, la strada commerciale coperta di Tirana fu una sorta di propulsore commerciale in Albania e fu allestita per portare in capitale quella mondanità di cui la città era deficitaria. La galleria appartiene al Concord Investment Group, primo gruppo di investimenti albanese, e si articola in una sorta di centro commerciale e residensiale: vanta di eleganti bar, negossi di moda, edifici ad uso abitativo, amministrativo e commerciale, librerie, un supermercato, una banca ed un parco giochi. Il grande amore verso l’Italia trova forma liquida e commerciale rispettivamente nel caffè e nel supermercato: tutti, tutti i bar servono solamente caffè italiano, il più grande bar della galleria è della Vergano e l’unico supermercato è un Conad.
Seguendo il flusso pedonale Ins.Mutti e figlioli si ritrovaron su Rruga Sami Frashëri, stradone pedonale intitolato al filosofo e patriota, riformatore della lingua turca ed autore di brillanti opere della letteratura ottomana, meno noto come Şemseddin Sami Bey. Con Sami Frashëri si evince quanto “covalente”  sia il legame fra Albania e Turchia, infatti  questi nacque a Frashër e morì ad Istanbul, scrisse in turco e fu figura di spicco del movimento politico Rilindja Kombëtare Shqiptare, che dal tardo Ottocento al 1912 perorò la causa indipendentista albanese, portando il paese all’indipendensa agli albori della Prima Guerra Mondiale. Il suo pensiero politico, di orientamento nassionalista, vedeva come pilastri l’istitussione di un alfabeto albanese e della pubblica istrussione e, naturalmente l’indipendensa del paese, come scritto nel suo testo Shqipërija ç'ka qenë, ç'është e ç'do të bëhetë? [Albania, cosa è stata, cosa diventerà?]. Il viale pedonale, da loro praticato, rivelava quanto Tirana brami l’occidente e quanto da esso disti. Bordato da negossi di abbigliamento, elettronica, souvenir, ristoranti e barretti, la Rruga [strada] non appariva dissimile da quelle occidentali, ma le insegne e le merci, così come l’architettura e lo stato di conservassione degli edifici, palesavano il gap con l’occidente. Come già raccontato nel Diario di Viaggio di Riga, Nel Grande Letto della Lettonia, a quanti sono avvessi a viaggiare, bastan pochi insignificanti dettagli per evincere l’area geografica in cui si trovan e Tirana esplicava d’essere nei Balcani. Con la cupidigia dei bambini, che reclamano un orsetto gommoso dopo un altro, anche l’Ingegnere scrutava incantato ed incuriosito quella capitale appena raggiunta e, come sovente accade, non poté che ritrovarsi nella sua Germania.  Dilagano il Nordrhein Westfallen i Kiosk, ossia piccolissimi negossi adibiti alla vendita al dettaglio di drink; essi sono allestiti in locali di modestissime dimensioni, una sola saracinesca, e vendono naturalmente birra e bevande di ogni genere; simil attività si trovano in Svessia e nei Paesi Baltici, in Spagna in Italia con i popolari h24. I kiosk albanesi assomigliavano ai Narvesen o alle edicole de La Gassetta del Messogiorno in lamiera assurra -od oggi verde- che pullulavano in Italia e, a differensa di questi, presentavano ai loro lati una fila di frigo-vetrine: ai lati del gassebo metallico, alimentati da un groviglio di cavi in bella vista, v’erano tre o quattro vetrine refrigerate, contenenti lattine e bottiglie, vendute dall’esercente seduto nel chioschetto; alla chiusura dell’attività, le ventrine venivano assicurate con catena e lucchetto e lasciate lì dov’eran. Appressò molto Fritz Säufer, i kiosk albanesi, sia per il richiamo alla Germania, sia per la fruibilità di drink, drink che già la prima sera riempirono il frigo della sua stansa. Felice e contento di aver a portata di mano bibite fresche, l’Ingegnere prese posto, assieme ai suoi cari in un grassioso ristorantino dello stradone Sami Frashëri: Zgara Korçare 2 ove consumò assieme alla mamma Mix i Vogël e bevve un Kriko e Madhe di Peja [Grande pinta di Birra Peja]; mentre il fratello vegetariano optò per Djathë Kaçkvall. La prima pietansa è un classico della cucina albanese, Mish ne Zgare, ovvero un arrosto misto contenente bistecchine e würste di mucca, pecora, tacchino. Dal piatto ancora una volta si evinceva l’ubicassione geoculturale dell’Albania: aderentemente alla Sharia, non v’era maiale nel piatto: la carne era molto spessiata e cotta, il sapore evocava aglio e paprika, da ciò e da altri dettagli qui non riportati si comprende quanto vicina sia l’Albania alla Turchia musulmana ed all’Europa dell’Est, ove rispettivamente, non si consuma maiale, ma pecora e montone e si abbonda con aglio e paprika. Il fratello vegetariano consumò del formaggio piastrato.
Attraversando a ritroso, i tre tornarono alla Galleria e, come Carmencita della Spagna del 2013, elessero a punto di riferimento la statua plastica del pissaiolo, posta all’imbocco del viottolo del B&B.
Naten e Mire!!!

 

Sabato, 29 Ottobre 2022

Il secondo giorno di viaggio, come da programma votato all’esaustiva visita della capitale balcanica, ebbe inissio con una “colassione internassionale” in un bar della Galeria. L’aggettivo internassionale sta ad indicare l’eterogeneità delle portate: Ins.Mamma consumo caffè espresso italiano, facilmente reperibile in Albania, il fratello brioche francese e l’Ingegnere caffè turco. La scelta delle pietanse fu dettata in primo luogo dai costumi dei singoli commensali -è risaputo che Ins.Mamma consuma solo espresso per colassione-, subito dopo dal paese: trovandosi in uno stato conteso fra oriente ed occidente, necessitava conformare la colassione al luogo: così Insegnate e Linguista puntarono ad Ovest e Ingegnere ad Est, assaggiando per la prima volta in assoluto il caffè turco, che immediatamente conquistò Fritz e mandò su tutte le furie il fratello, che vide l’Ingegnere incensare il “beverone” e dispressare il caffè italiano….
Quella mattina ebbero luogo due debutti, il caffè turco per l’Ingegnere e la Moschea per l’Insegnate. Con la caduta del comunismo avvenuta nel 1991, fu ripristinata la libertà di culto, cosi che i cristiani ed i musulmani poterono tornare a pregare nei rispettivi templi, e con ciò si riscontò l’inadeguatessa della moschea di Tirana: essa poteva ospitare solo sessanta fedeli, numero esiguo dato che la maggioransa della popolassione era di confessone islamica. Mosso dal desiderio di spassar via ogni ricordo della dittatura e restaurare il suo paese, nel 1992 presidente Sali Berisha pose la prima pietra per l’edificassione della nuova Xhamia e Madhe e Tiranës [Grande Moschea di Tirana], anche nota come Xhamia e Namazgjasë. Nonostante le ottime intensioni, i lavori ebbero inissio solo nel 2010 e continuano tutt’oggi, a ragione della maestosità del progetto, che prevede quattro minareti alti 50m, cupola centrale alta 30m, capiensa 4500 persone e l’impegno del governo turco a finansiare i lavori, che doneranno alla città la più grande moschea dei Balcani. In attesa della consegna della Xhamia e Namazgjasë, l’ufficio religioso dei fedeli di Tirana ha luogo in quella che dal 1823 è la moschea della capitale albanese e, oltre a rivestire importansa religiosa, assume rilevansa storica. Eretta nel 1789 -o 1207 secondo il calendario islamico- per volere del leader religioso ottomano albanese Et’hem Bey Mollaj, già Molla Bey of Petrela, e completata da suo figlio Haxhi Ethëm Bey nel 1823, la Xhamia e Et'hem Beut ha vissuto il suo massimo splendore negli anni in cui l’Albania era un protettorato fascista italiano ed il suo oblio negli anni del comunismo, durante i quali fu completamente interdetta. La Moschea di Et'hem Beut si differensia sostansialmente da quelle mediorientali per il suo stile “innovativo”. La regola architettonica tradissionale prevede che il minareto sia cilindrico o quadrato, quello della vecchia moschea vanta base quadrata e torre cilindrica con il classico balconcino e tetto conico; l’entrata presenta un porticato con tetto spiovente a tegole marroni sorretto da 15 colonne e 14 archi decorati con motivi floreali, ripresi all’interno. Gli affreschi delle moschee del vicino oriente si costituiscono di scritture in arabo su fondo color pastello, poiché non è permesso rappresentare la divinità, ma solo scriverne il nome, ergo la scrittura è particolarmente curata e gradevole alla vista; gli affreschi della moschea di Tirana sono autoctone: si rifanno alla pittura albanese, che si esplica in nature morte ed ameni paesaggi, quindi si vedono motivi floreali, cascate, ponticelli. L’Islam prevede che il fedele esegua la Şalāt con il naso, la fronte e le mani sul pavimento e rivolti al Qibla, ossia la diressione della Mecca, e questa è segnalata dal Mihrab, un anfratto verticale nella parete che guarda alla Mecca appunto, affiancato dal Minbar, ossia il pulpito dai gradini dispari dal quale l’Iman intona la preghiera, precedendo l’assemblea.

Cilicio arrugginito o lancette animate che, alla guisa delle cesoia da giardino recidono la testa dal collo, così son gli orologi: malefici strumenti che, con il loro perpetuo ticchettio, scandiscono impietosamente gli istanti della nostra vita e l’ultimo tac del regime comunista albanese scoccò proprio in prossimità di un orologio, emblema architettonico di Tirana: Kulla e Sahatit. Questa è la Torre dello Orologio, opera minore dell’inissiatore della moschea, Etëhem Bey Mollaj; insiste al fianco del luogo di culto dal 1811 e, con i suoi 35m di altessa, all’epoca vantava il titolo di edifico più alto della città. La torre, a base quadrata, con balconcino e tetto spiovete, alloggia nel piano superiore, raggiungibile mediante una scala a spirale di 90 grandini, gli ingranaggi dell’orologio e, in quello inferiore, le campane, originariamente di Venessia. Il 18 gennaio 1991, diecimila persone, armate di bandiere e striscioni, entrarono in Xhamia e Et'hem Beut e inissiarono a pregare, dichiarando di fatto il ripristino della libertà di culto in Albania, la pubblica protesta avvenne sotto lo sguardo della polissia che, inerte e stanca della repressione, non si oppose alla cosa; quello fu il calcio di inissio della partita che si concluse con la liberassione del Paese. Fra gli spettatori di questo metaforico incontro calcistico vi fu Kulla e Sahatit che d’allora divenne simbolo della nuova Albania. Personalmente ignoro la distansa kilometrica fra Taipei e Tirana, ma ritengo che fra le due capitali intercorrano camerateschi rapporti, tanto da epitetare Parku Rinia, Taiwan. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, venne allestito a Tirana un parco per giovani e famiglie, appunto Rinia ossia gioventù, e poco dopo, nelle sue immediate vicinanse fu edificato il Ish-Blloku, una sorta di città proibita cinese e, poiché il giardino pubblico era una vera e propria isola verde nel cuore dell’oceano urbano e prossimo alla cittadella proibita, esso venne ironicamente soprannominato Taiwan. Nello stesso periodo il regime comunista albanico [licensa colloquiale fritziana] interruppe i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese e riconobbe l’indipendensa della Repubblica di Cina [Taiwan]. Essendo stata l’Albania il primo stato a riconoscere la Cina Nassionalista, questa fece dono delle fontane luminose del parco in oggetto che, fra l’altro ospita due singolari monumenti: una parete del Muro di Berlino, che fu riunificata negli stessi anni della liberassione albanese e il Monumento del Centenario dell’Indipendensa dell’Albania, realissato in Austria da Visar Obrija e Kai Kiklas. Il lastrone del Berliner Mauer è il vertice di un triangolo che compone il Postbllok Memorial i Izolimit Komunist [Memoriale alle vittime dell’isolamento comunista]. Tre minute stradine disegnano nel parco un triangolino i cui vertici ospitano il prefabbricato del Muro di Berlino, un mini buker ed una sorta di gabbietta. I tre vestigi hanno un significato preciso: il Berliner Mauer ricorda che lì insisteva il checkpoint della Ish-Blloku, infatti è stato preso da Postdamerplatz ove v’era un checkpoint; il bunker è chiaro richiamo all’era comunista che costellò l’intero stato di simili strutture in vista di un conflitto nucleare e la gabbietta in calcestrusso è realissata con i pilastri utlissati nella miniera del campo di lavoro Burgu i Spaçit, ove i prigionieri del regime scontavano la pena ai lavori forsati.

La Quanto a Ish-Blloku, esso è stato un quartiere della capitale, precluso ai cittadini e riservato ai dirigenti del Poliburo Albanese ed alle loro famiglie, oggi è troneggiato dalla la SkyTower ed è simbolo della rinascita della città.

Zog I Scanderbeg III Re degli Albanesi fece una lunga carriera, fu infatti primo ministro, presidente della repubblica e re dello stato adriatico ed a lui è attribuita la più famosa e grande piassa della capitale, l’ottantunesima al mondo in ordine di estensione: Piassa Scandenderg. Concepita nel centro storico nei primissimi anni del XX S in stile rassionalista, lo slargo urbano fu ampliato e completamente restaurato dai fascisti italiani, per poi assumere connotassione prettamente sovietica negli anni del comunismo, durante i quali si vide punto nevralgico di stradoni e palcoscenico di severinissime parate militari. In quegli anni, la piassa era completamente spoglia, poiché atta a contenere carri armati e plotoni in sfilata, vantava solo di un cippo sorreggente una lastra marmorea riportante la data dell’indipendensa e due statue, una di Lenin e l’altra di Enver Hoxha, da lui stesso collocate. Conseguentemente alla caduta del regime comunista, le due statue furono distrutte dal popolo in festa e rimpiassate con l’effige bronsea ritraente l’erore nassionale a cavallo, opera di Odhise Paskali. Nel 2017 il foro ha subito un nuovo e significativo restauro: è stato lastricato con pietre provenienti da tutti i paesi in cui è diffuso il nassional idioma: Montenegro, Kosovo, Calabria, Grecia, Macedonia e Puglia. Oggi, come un tempo, Sheshi Gjergj Kastrioti Skënderbeu, è il punto focale della città e nei giorni di viaggio ospitava il mercato settimanale ed un concerto di artisti locali. A seguito dell’Indipendensa dal caduto Impero Ottomano, l’Albania divenne un protettorato italiano per poi esser occupata durante gli anni del Fascismo. Pur stigmatissando le invasioni e le dittature, in ogni loro sembiansa e colore e ritendendo essere mai giustificabili e sempre bieche, occorre dire che, se soppesassimo le responsabilità dei regimi che si avvicendarono nel paese, potremmo subito dire, che solo sotto l’egida italiana, l’Albania vide prosperità,  sviluppo e modernità e, con l’unione doganale, anche gli albanesi poterono godere di tutti quei beni largamente diffusi in Italia ed a loro ignoti fino ad allora, parlo di indumenti, pasta, alimenti, casalinghi e simili. Esempi del generoso lavoro fatto dall’Italia nell’albanico stato si trovano a pochi passi dalla piassa centrale e sono le costrussioni deputate a pubblici uffici che, per la loro architettura ed il loro aspetto, ricordarono tanto Bari all’Ingegner Fritz. Negli anni a ridosso fra i due Conflitti Mondiali, si sviluppò in Occidente in Movimento Moderno: una corrente architettonica, derivata dalle teorie di Vitruvio esposte nel De Architectura e da quelle del rinascimentale Leon Battista Alberti, che orientava la progettassione degli edifici al mero funsionalismo sensa trascurare l’aspetto estetico, questa volta del tutto rivisitato; gemma di questo canone fu il Rassionalismo Italiano, che dilagò nell’Italia fascista, nelle sue colonie e, a ragione del carattere innovativo e dell’origine italiana, spopolò anche negli USA. Milano, Bari, Taranto, Torino, Trieste e tutte le città di Italia vantano opere pubbliche rifacentesi allo stile rassionale, che non ha mia ghermito l’Ingegnere, sempre fedele fautore del Gotico, in tutte le sue declinassioni.
Subito dopo la dichiarassione di indipendensa dell’Albania, avvenuta l’11 febbraio 1920 e la istitussione di Tirana capitale, architetti austriaci stillarono un piano regolatore della città che, pur prevedendo l’allargamento delle strade maggiori e l’edificasione di nuovi edifici, presentava gravi problemi di attuabilità così 1924, si provvedette alla stesura di un nuovo piano regolatore e si diede incarico all’architetto italiano Armando Brasini, incaricato dal presidente Amhet Zoug. Si deve a lui la Nuova Tirana e Piassa Skandenderg con i grandi stradoni dipartenti da essa e ad altri due architetti italiani, Florestano di Fausto e Gerardo Bosio, la progettassione degli edifici ministeriali e della definissione urbana del lato sudorientale della città.
La Nuova Tirana ottemperava ai requisiti urbanistici europei e consentì, per la prima volta, che i cittadini avessero case private, parchi e spassi liberi. Contrariamente alla filosofia urbanistica attuata dagli italiani, quella comunista, instaurata dopo la Seconda Guerra Mondiale, mutò il volto della capitale, trasformandola in una città grigia e poco attraente, caratterissta dai Chruščëvka, ovvero i palassono sovietici in cemento armano o mattoni, tipici degli Anni 60. Nel 2000 il sindaco di Tirana, Edi Rama, mise in atto una campagna di rinnovo, tesa a spassar via i vestigi della dittatura e ridar vita alla capitale. Essa consisteva nel colorare, affrescare, abbellire e decorare gli austeri palassoni di Erevan Hoxha, facendo uso di colori vivi, accesi e sgargianti, come a voler scacciare gli anni della dittatura ed oltraggiare il regime. L’Edificio Viola, il caseggiato di Shallvare, fabbricati di O Unasa e, primo fra tutti, il Palasso Arcobaleno sono solo alcuni esempi del tiranico newstyle [Tirano, licensa colloquiale Fritziana]. Vorrei precisare che anche le fatiscenti costrussioni nelle immediate prossimità dell’albergo vestono iridate tinte e che il Palasso Arcobaleno è stato il primo ad esser “rinato” a ragione della vicinansa al Blloku, [quartiere proibito] ed il motivo pittorico, l’arcobaleno, costituiva un vero e proprio affronto alla severinità comunista.

Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima, deduciamo da Bernard Shaw ed è con l’arte moderna che la capitale balcanica guarda e mostra il suo animo, ovvero la brama di obnubilare il tormentato passato e guadagnarsi un piccolo scrano nel pantheon delle capitali occidentali. Per far ciò si dota di opere d’arte ed una delle più popolari è Reja-The Cloud, dell’architetto giapponese Sou Fujimoto che, dopo averla presentata a Londra, la dona a Tirana e la posissiona di fronte alla Galeria Kombëtare e Arteve; l’istallassione riscuote da subito successo, diventando sede di manifetsassioni pubbliche, anfiteatro, selfie spot e Ruhegebiet. Reja-The Cloud appare come una sorta di graticcio tridimensionale che, come una nuvola, si fonde con il circostante paesaggio e alla stregua della geometria e delle sue forme si mescia con l’uomo e con la natura.

Un’altra sineddoche del rinnovamento albanese è la marchiale riqualificassione dello stravagante monumento brutralista Piramida. Indiscusso dittatore del paese balcanico, Enver Hoxha commissionò l’edificassione di un monumento alla sua memoria, un monumento maestoso, degno di lui e della sua potensa, un monumento che lo avrebbe celebrato nel tempo e così sua figlia con il consorte, entrambi architetti, progettarono quello che venne poi infelicemnte battessato Mausoleo di Hoxha, ossia la  Piramide di Tirana. Questa è un edifico in stile brutalista a foggia di piramide, in marmo e vetro, eretto per essere un museo dedicato all’eredità culturale e politica del dittatore; fu inaugurato il 14 ottobre 1988, pochissimo dopo la dipartitra del leader albanese e, secondo molti, fu la più costosa opera mai realissata in Albania. Sebbene imponente e singolare, essa non riscosse mai il plauso del popolo, tanto da esse stata più volte vandalissata ed impiegata per molteplici scopi, tutti differenti da quello originario, inoltre non poche volte fu proposta la demolissione. Esecrata dai cittadini, poiché evidentissimo simbolo della dittatura ed evocatorice di brutti ricordi, la Piramide è oggi rivalutata a fronte della sua posissione e del suo insolito aspetto, che la rende un monumento di tutto rispetto. Tanto per continuare il confronto fra eredità italiana e comunista, presento Boulevard Dëshmorët e Kombit [Viale dei Martiri della Nassione]. Questa è uno dei principali viali di Tirana, fu progettato dall’arch.italiani Gerardo Bosio, inissia e termina sulle due grandi piasse della città, Sheshi Gjergj Kastrioti Skënderbeu e Sheshi Nënë Teresa, ed è bordato da palassi rassionalisti italiani. Al capolinea dello stradone si incontra, nella sua piassa, la statua di Madre Teresa di Calcutta che, come in vita, ha le braccia aperte per accogliere chiunque giunga da lei. Sulla stessa piassa sorge l’Università di Tirana, maestosa opera dell’arch. Bosio. Questi volle sposare il paesaggio e la storia e realissò un edificio simile alle fortesse romane, formato da tre parallelepipedi in fila; quello centrale, in linea con la collina retrostante, omaggia la Torre di Tirana e la compattessa possente dell’intera struttura indica il forte carattere del paese. Seppur refrattario all’architettura rassionalista, l’Ingegnere appressò molto il Muncipio di Tirana e la sede della Banca Nassionale. La Banka Kombëtare e Shqipërisë è un’opera completamente italiana: fu disegnata dall’arch.italiano Vittorio Ballio Morpurgo ed edificata dall’impresa Straccioli&Fortusi e, chiaramente, si rifà al canone rassionale, per di più fu edificata nel 1936, anno di nascita del Nonno di Fitz. Il fabbricato colpisce per la singolarità della pianta: un rombo con i lati posteriori rettilinei e quelli anteriori arrotondati e coincidenti in una sorta di arco di circonferensa. L’ingresso si mostra come un porticato sorretto da pilastri rettangolari e la sommità è chiusa da una cupola concava in vetro e ferro; tutto l’edifico è in mattoni marroni. Altri esempi di architettura rassionalista, realissati dagli italiani nel post Primo Conflitto e negli anni del Fascismo, sono il Museo di Storia, l’Opera, il Palasso Presidensiale e quello della Cultura; su di essi non mi dilungo al fine di dedicare maggiore spassio ad altre highlights. Un ulteriore cimelio dell’era comunista è l’apparentemente innocua Shtëpia me Gjethe {Casa delle Foglie}. Essa nasce come un ospedale per la maternità, per poi diventare sede della terribile Sigurimi, ossia la polissia segreta comunista.  La Casa delle Foglie deve il suo ironico epiteto al fatto che essa appariva coperta dalla lussureggiante flora che l’avvolgeva e fu proprio la copiosa vegetassione a renderla idonea a diventare sede dei servissi segreti. Apparente come una villa borghese, la casa ospitava polissiotti e uomini impiegati nello spionaggio quotidiano: si dice che le pareti fossero bardate di microfoni e transreciever atti a captare le conversassioni dei cittadini che s’intrattenevano nelle vicinanse. All’interno v’erano uffici, prigioni e stanse di tortura, ancor oggi si racconta che molti parenti degli attuali cittadini di Tirana furono torturati e obbligati a fantasiose confessioni all’interno di quelle stanse. La repressione subita dall’albanico popolo, che ricordo esser terminata solo nel 1991, ha ingenerato una radicale rivisitassione della cultura locale e della politica: l’attuale Albania è uno stato libero e nassionalista, economicamente capitalista, tutela la proprietà privata e presto entrerà nell’Unione Europea; tangibili esempi del nuovo patriottismo sono il monumento Madre Albania e il monumento all’indipendensa. Il primo, Nëna Shqipëri, svetta nel Cimitero dei Martiri della Nassione e rappresenta una madre che veglia sul sonno dei caduti per la partia. La donna della statua, Madre Albania, appare fiera e poggia su un piedistallo che riporta l’omaggio ai martiri [Gloria Eterna ai Martiri della Patria], tiene nella mano destra, levata al cielo, una corona d’alloro ed una stella. Nello stesso cimitero riposava, in una sontuosa tomba, il dittatore comunista Erevan Hoxha, ma nel 1991, la sua sepoltura fu grintosamente divelta le sue spoglie mortali furono in parte disperse per strada, in parte sepolte in una tomba anonima in un cimitero pubblico; ciò che è chiara dimostrassione del rancore nutrito dal popolo per il dittatore. Nëna Shqipëri è stata realissata dagli scultori Kristaq Rama, Muntaz Dhrami and Shaban Hadërri, il suo aspetto massiccio ed il volto squadrato della madre evocano opere italiane del primo ventennio del Novecento. Il monumento all’indipendensa si deve all’architetto kossovaro Visar Obrija ed all’architetto tedesco Kai Roman Kikla che trassero ispirassione dalla tradissione albanese. L’opera può esser vista come un parallepipedo a base quadrata aperto, nelle facce interne sono incise l’Aquila Albanese e le firme dei padri della patria; fu realissato in Austria, altessa, peso e largessa ammontano a: 6.5m, 15t, 5.5m. Quanti hanno visitato l’Albania, hanno sicuramente notato che l’intero paese pullula di bunker, infatti se ne contano 750000 circa. Assunto il potere nel 1944, Enver Hoxha instaurò una singolare dittatura comunista nel paese delle Aquile, sue peculiarità furono la presa di distansa dall’URSS, l’orientamento meramente marxista, cosa non attauta in altri paesi comunisti, e la politica di isolamento: l’Albania era uno stato isolassionista, non intratteneva rapporti diplomatici consisistenti con nessun paese                -neanche con Taiwan- e i confininanti balcanici intercorrevano rapporti molto esili. Inissialmente intimorito dall’idea di una possibile invasione del suo stato, il dittatore fu affetto da una vera e propria paranoia dell’invasione tanto da investire grandissime somme per la realissassione di bunker. Come i funghi in una pineta della Sila, l’Albania vide presto sorgere sul suo suolo bunker e rifugi in cemento armato, atti a difendere il paese da una eventuale aggressione, che oggi diciamo non ha mai avuto luogo, tuttavia la dissenteria edile che colpì Hoxha spinse lo stesso a tagliar fondi alla Pubblica Istrussione, alla sanità, alla modernissassione del paese ed allo sviluppo economico al fine di costruire rifugi antiatomici che, come già detto, se ne contano 750000 o, secondo alcuni, 175000; numeri da capogiro. I funghetti in cemento armato furon da subito malvisti dal popolo, per poi divenire onnipresente ricordo della dittatura e della politica del dittatore, tuttavia come la storia insegna, il popolo albanese è sempre riuscito a vincere le avversità ed a rialsarsi ed i bunker ne sono un esempio. Nati dal delirio di Hoxa e simbolo e ricordo di anni bui, oggi essi si prestano ai più disparati scopi, scopi che oltraggiano la loro vocassione inissiale: sono essi luoghi di aggregassione, felicità e armonia. Nei bunker sono allestiti bar, discoteche, musei, botteghe di tatuatori, poli culturali e simili...

Il fischio d’inissio della partita che trasformò i Bunker in fröhlicher Räum {luoghi gioiosi} fu tirato nel novembre 2014 dal girnalista italiano Carlo Bollino, che propose di allestire un video museo nel bunker di Ruga Fadil Deliu, dedicato alla storia dell’esrcito comunista albanese ed alla vita quotidiana del popolo durante gli anni del regime. Il grande successo riscosso portò alla fondassione di una ONG, Qendra Ura, atta alla cura del progetto ed ad uno staff di ricerca storica coordinato dal giornalista albanese Admirina Peçi ed all’allestimento di BunkArt 2 nel novembre 2016. Questo, forse più sinisto del primo, racconta la storia della terribile Sigurimi e del Ministero dell’Interno. Accessibile solo dal palasso del dicastero, il bunker consta di 24 stanse ed un salone dedicato alle telecomunicassioni, dato che lo spionaggio era una delle principali attività della polissia segreta. Negli ambienti sotterrai si possono ammirare con sgomento gli stumenti di repressione del regime, video di epoche al quanto vicine, celle per detensione, reperti delle guerre, armi, camere a gas... L’attraversamento di quei corridoi induce inquietitudine e tristessa, condite con orrore e sgomento, un pò come il musei del KGB di Vilnius. E’ davvero triste pensare che persone come noi abbiano subito simili soprusi e violense per mano di pochi uomini folli, e questo discorso non è confinabile all’Albania, ma a tutti i popoli e regimi.
Una singolare opera che destò l’interesse dell’Ingegnere fu: Il Mostro della Dittatura. L’installasione realissata dall’artista albanese Rajomnda Zajma mostra una figura antropomorfa, che descrive la dittarura con le parti che realissano il corpo umano, vediamo infatti un televisore come testa, che illustra il potere che ha l’informassione sul nostro pensiero ed il busto come unagabbia contenente filo spinato alla guisa dell’intestino. Gli orecchi sono cornette telefoniche della Sigurimi o, comunque utilissati negli uffici delle dittature.  Le mani, quali attuatori del pensiero, son costituite da un mitra ed un rastello, ad esemplificare l’attuassione del pensiero da parte del dittatore: il lavoro forsato e la violensa armata.  La bocca è una maschera antigas come a voler dire che le parole, nella dittatura, devon esser filtrate e gli occhi due telecamere per videosorvegliansa. L’artista, Rajomnda Zajma, con il suo lavoro spiega che i mostri coisctuiscono i loro imperi in modo dalnon esser deposti, quindi controllano le telecomunicazioni, si avvalgono di armi e protessioni di ogni genere e, qualora volessimo combatterli, dovremmo far attensione al mostro che è in noi!

Contrapposto all’angosciante museo, il programma di viaggio suggeriva la visita ad uno dei luoghi più emblematici di Tirana: il Basar. Non poche volte si è discettato sull’atavica amicissia fra Turchia ed Albania ed una delle prime cosa che salta alla mente quando si parla di Oriente è il basar. Le origini di queste si perdono nelle sabbie del tempo o, se si preferisce, nei sacchi di spessie, tuttavia si conosce con certessa la puntuale tradussione della parolina persiana bāzār, vale a dire luogo dei pressi, inquanto lì venivano proposti i pressi di tutte le merci fruibili dal popolo. Soprassedendo sulla storia e sulla descrissione dei basar, che avrà luogo in occasione di viaggi in Medioriente, quello di Tirana ha origini antiche, con ogni probabilità risale all’epoca ottomana, ad ogni modo con il crescere della popolassione ed il nuovo assetto del paese il vecchio basar, assieme alla Moschea di Solimano, hanno lasciato posto a Pazari i Ri [Nuovo Mercato Coperto]. Fondato nel 1939 nell’area del vecchio mercato pubblico, ossia la sona più antica della capitale, Nuovo Basar si presenta come una struttura futuristica in vetro ed acciaio. All’interno di una sorta di capannone dai sottili pilastrini in acciaio nero e vetro, ospita il luogo che, forse più di ogni altro, celebra il connubio fra Albania e Turchia. Banchi ricolmi di frutta fresca, carne in bella vista, covoni di spessie, tappeti, panetti di tabacco, piccoli elettrdomestici, pesce appena pescato, giocattoli e tessuti sono i condomini della colorata struttura che alloggia il mercato di Tirana. Passeggiando fra gli ampi viali pedonali e le anguste stradine fra le bancarelle, si respira un’aria profumata di spessie e di frutta che, perentoriamente, riporta in oriente, prossima meta di Fritz!
Non tutti sanno che Tirana è bagnata da un fiumiciattolo, un minuto fiumetto che nella sona centrale della capitale: il Lanë. Deve la sua popolarità, il fiumiciattolo Lanë, al ponte in pietra che lo sormonta dal XVIII S. L’età del viadotto pedonale, le struttura a tripla arcata tutta in pietra e le dimensioni, rendono il Ponte dei Conciatori una piccola perla dell’architettura ed a ragione di ciò che si è preferito deviare il fiume e no abbatterlo durante il riassetto della città; la passerella in pietra è alto 3.5m, larga 2.5m e lunga 8.0m. Oggigiorno Urë e Tabakëve è per lo più un’attrassione turistica, ma in epoca ottomana esso era un importantissimo punto di transito sia perché conduceva alla Moschea dei Conciatori, sia poiché collegava Debar, in Macedonia e quindi a ridosso dell’altopiano albanese, a Tirana, passando per il villaggio di Shëngjergj [San Giorgio]. Questa era una strada di vitale importansa per i locali, da sempre versati nella pastorissia e nel commercio di bestie e ciò è anche confermato dal nome del passo in pietra: Ponte dei Conciatori dato che nelle sue immediate prossimità eran allestite botteghe di pellai, conciatori e macellai. La prima mattina a Tirana fu inaugurata dal buon caffè turco sorseggiato dall’Ingegnere e, a beneficio dei profani, si racconta che questo viene portato ad ebolissione nella sabbia rovente. Sabbia delle spiagge adriatiche o del deserto degli ottomani o ancora sabbia che, alla guisa della paprika, spargiamo sul gulasch, per dare un sapore romantico a queste sterili pagine. Il Romanticismo è un canone letterario nato nella Germania Ottocentesca e corrottosi in Regno Unito. Un carattere della corrente di pensiero comune a tutte le sue articolassioni regionali è il nassionalismo che, oltre ad essere uno dei tratti distintivi del albanico popolo, è anche la pergamena che racconta un’antica leggenda ambientata dall’alta parte del Ponte dei Conciatori, probabilmente sulla
Jabllanica o sulle Alpi Albanesi. Un tempo ormai lontano, quando le pecorelle belavano sui colli albanesi ed i cacciatori armati d’arco e freccie s’aggiravan sui monti, un giovane ragasso vide volteggiare una maestosa aquila che, poco dopo, si appollaiò sullo sperone del monte e lasciò al suo aquilotto un serpente per merenda. Ancora non morto, il rettile insidiò il piccolo volatile e subito accorse il giovane cacciatore che, scoccando una freccia, colpì il serprente e prese in salvo il cucciolo d’aquila. Una poderosa voce echeggiò fra i costoni delle montagne: era mamma aquila che intimava al giovane di riporre nel nido il suo figliolo, questi si rifiutò adducendo a sua difesa di averlo salvato dal serpente, così la grande aquila promise che, se avesse riavuto il figlio, gli avrebbe donato una vista sopraffina ed una grande forsa, e così avvenne. L’aquilotto ed il cacciatore divennero d’allora inseparabili e più tardi il giovane forsuto diventò un difensore della patria, fino ad esser incoronato re e battessato Shqipëtar, tradussione di aquila, dalla quale discendono il nome dello stato ed il nassional vessillo.
Le bandiere albanesi, come ali di aquila, sventolano fiere sulle possenti mura del Kalaja e Tiranës. Questo è l’impropriamente noto Castello di Tirana, infatti più che un castello è la Fortessa Giustiniana e la sua storia inissia prima del 1300 quando era l’origine dalla quale dipartivano le strade della città: nel cento della fortessa si interesecavano le direttrici che conducevano da nord a sud, da ovest ad est. Dell’attule Kalaja e Justinianit non restano che un posso, tre torri e qualche muro di cinta che, con il suo aspetto gagliardo induce una certa riverensa ai pochi resti superstiti; le mura, infatti, sono alte ben 6m, sono in pietra a vista e molto spesse e, si ritiene, siano di epoca ottomana. A suffragio di questa tesi vi sono i proprietari del maniero, la Familja Toptani, una nobile e ricca famiglia, alla quale gli ottomani regnanti in era balcanica, affidarono l’edifico ed il paese; era costume ottomano, come nel Feudalesimo, demandare la gestione di una provincia ad un feudatario ed a Tirana c’era Murat Toptani, i cui discendenti ancora esistono. La Fortessa dei Toptani è oggi un grande basar, con negossi, ristoranti, lounge bar e negossi di souvenir e lì che i tre consumarono l’ultima cena albanese.
A gran dispetto di quanto si possa pensare, la capitale dello stato balcanico vanta diverse torri. Non solo Kulla e Sahatit o i minareti dominano lo skyline di Tirana, ma molto grattacieli svettano nel cielo della città e primo fra tutti è la Skytower, moderno hotel di 17 piani che sorge a pochi minuti dalla piassa centrale. Al termine del tour della città, i tre si riproposero di bere un cocktail nel bar dell’albergo più alto di Tirana, ma non fu possibile a causa del restauro che interessava il grattacielo in quei giorni; tuttavia si consolarono con un’inattesa e graditissima sorpresa: il müessin. Quali cittadini di un paese prevalentemente islamico, gli albanesi espletano il loro credo secondo i dettami del Glorioso Korano e questo prevede che il fedele debba salmodiare per cinque volte dal minareto l’adhān alla ṣalāt, ossia il richiamo alla preghiera canonica. Orami al tramonto, rammaricati di non aver consumato drink nel bar della Sky Tower, i tre tornarono in Piassa Skandenberg e subito udirono il canto del talacimanno. Fu un momento solenne e denso di significato: tutta la piassa si paralissò, molti si inginocchiarono in diressione della Mecca, le auto si fermarono a centro strada e non si poté che esser colmi di stupore e fede. Sebbene ancora in Europa, Fritz ebbe un assaggio di oriente ed osservò che, al di là delle mistificassioni e delle distorsioni, l’Islam è una religione di pace ed Allah è un dio che, con paterno amore, rammenta ai suoi figli l’ora della preghiera. Basti leggere il Korano o studiare un po' per comprendere che il terrorismo non è giustificato dall’Islam, ma è solo una ignominiosa strumentalissassione della religione dei figli di Abramo!
Grati per il dono ricevuto, i tre tornarono in “Italia” cenando nella pisseria del castello, ove è preparata una pissa buona come a Napoli.
Nanet e Mire!


Domenica, 30 Ottobre 2022

Attraversando le strade di Tirana, saltan agli occhi vestigi musulmani o, in generale orientali, gabellando l’errata idea che l’Albania sia sempre stata una provincia turca. La dissolussione dell’Impero di Bisansio ingenerò la formassione di staterelli orbitanti attorno al decaduto impero e fra questi spiccava il Principato di di Arbër, germe dell’albanico stato. Esso fu il primo paese albanese del Medioevo, fu fondato da Progon, primo sovrano albanese, che nel 1190 elesse a capitale la piccola Krujë, anche nota come Kruja o Croia. Il nome deriva dalla parolina Krua, ossia sorgente, in virtù del fatto che essa si staglia su una collina pullulante fiumiciattoli e specchi d’acqua. Le prime notissie del paese risalgono al III S AC, anche se il periodo di maggior splendore fu il Medioevo. Seppur minuta, Krujë occupa una posissione strategica: si estende su una collina e collega il nord al sud, l’ovest all’est del paese ed a ragione di questi due fatti che divenne capitale del paese.
Il Secolo XV vide l’Europa, l’Asia minore e le Americhe teatri di importanti avvenimenti storici, primo fra tutti la transissione da Medioevo a Rinascimento, la Scoperta dell’America e le Crociate, finalissate a contrastare l’avansata Ottomana nei Balcani, e nel 1445, durante la Battaglia di Prinzren, Scandenberg liberò il Kossovo dai turchi, come assione della Beselidhja e Lezhës. Con l’avvento del Rinascimento, ideali nassionalisti dilagaron in Europa, formassioni militari di carattere difensivo si andavan costituendo di qui e di lì, la Lega di Alessio ed il Conte Dracula sono esempi del nassionalismo balcanico. Il 28 novembre 1443 l’Albiana proclamò la propria indipendensa dall’Impero ottomano ed il 2 marso dell’anno successivo fu istituita la Beselidhja e Lezhës {Lega di Alessio}, alleansa militare finalissata ad osteggiare l’offensiva turca. Essa fu fondata dal Signore di Krujë: Giorgio Castriota I, già Scandenberg {Gjergj Kastrioti Skënderbeu}. Questi, figura di spicco nella storia rinascimentale balcanica, fu Principe Albanese, Re d’Epiro, valoroso condottiero, uomo politico e, per il suo eroico impegno profuso nella difesa della cristinità nei balcani, fu nominato, da Papa Callisto III Athleta Christi et Defensor Fidei e Nuovo Alessando, da Pio III. Skënderbeu orchestrò la resistensa albanese dal 1443, anno della Dichiarassione di Indipendensa al 1468, anno della sua morte; in questi 25 anni l’Impero Ottomano non riuscì ad espugnare l’albanico stato che, fra l’altro, fu l’unico paese dei Balcani a resistere così tanto all’aggressione turca.
L’epopea del condottiero caprato vide Krujë come capitale albanese e fu essa la seconda città visitata dall’Ingegnere nel suo primo viaggio in Albania.
Con un teutoneggiante Miremengjes, pronunciato dall’Ingegnere, i tre si destarono nel loro grassioso alberghetto, ignari dell’avventura che s’accingevan a vivere: un singolare viaggio da Tirana alla volta di Krujë. Giunti nella periferia di Tirana, Frau Mutti e rampolli si ritrovarono in un ampio slargo, snodo del pubblico trasporto albanese. Un gran numero di minibus e pullman Anni ’80, disordinatamente parcheggiati, attendevano di riempirsi di genti intensioante a partire per ogni dove. Differentemente da quanto si è avvessi, i veicoli non riportavano la destinassione, tantomeno era specificato l’orario di partensa: l’autobus partiva quando si riempiva e raggiungeva la più richiesta destinassione. Gli autisti o i passeggeri, con dovissia da mercanti, raggruppavan genti desiderore di partire per un data città o indirissavan le stesse all’altro bus e, una volta raggiunto un numero congeniale all’autista, il veicolo partiva per la città designata. Loro furon assegnati ad un minibus Volkswagen T2. Il nocchiero della strada, contò il numero di passeggeri, fissò il presso del viaggio e imboccò la strada per l’antica capitale del Principato di Arbaron. Il presso del viaggio fu calcolato al momento dall’autista che, durante il tragitto, si fermò più volte in piena strada per far salire a bordo altri viaggiatori. Inutile dire che il veicolo era superaffollato, che i passeggeri eran ammassati un sull’altro letteralmente e che il minubus si sostava su strade extraurbane, incurante della presensa o meno della relativa fermata, per accogliere passanti di sorta e passeggeri di ventura. Sebbene inconsueto e, volendo tragicomico, quel folkloristico viaggio diede loro modo di conoscere la vita in Albania e la società, non così dissimile da quella della Calabria degli anni ‘70. La suddivisione ammistrativa albanese vede 12 prefetture (Qark) equipollenti ai Bundesländer od alle regioni e si trova nella Qarku i Durrësit a nord di Tirana in quello che, se vogliamo, possiamo chiamare altopiano albanese. La strada per raggiungere la prima capitale non presenta grandi differense se paragonata a quelle attraversanti gli Appennini: è una strada in salita, ricca di tornanti che consente di appressare il paesaggio balcanico e l’Adriatico. Ancora in autunno, le montagnette eran vestite di un verde in declino e fra quelle fronde verdone e giallognole sicuramente v’erano le piante del tee albanese e, con un po' di romanticismo, anche le capre discendenti da quella che donò il suo cornuto teschio al natio prode. Qualche rigo fa, Gjergj Kastrioti I è stato epitetato “eroe caprato” in virtù del suo elmo ottenuto da un cranio caprino ed un ciuffo conico di barba sotto il mento. La ragione dei peculiari attributi dell’Illiricus Defensor Fidei risiede nella leggenda che vede il coinvolgimento di capre albanesi ingaggiate nella difesa del paese. In una delle tante battaglie non conclusesi entro il tramonto, il condottiero di Krujë, scorgendo un gregge di capre, incaricò i suoi soldati, di legar alle corna degli animali da formaggio torce e indirissarli verso le linee turche. Gli avversari, in piena notte, vendendo appropinquarsi a loro un folto esercito munito di fiaccole, batterono in ritirata, ignari si trattasse di capre, dando per vinta quella battaglia. A ragione del servigio reso delle bestie cornodotate,
Giorgio Castriota elesse questo e suo animale e si munì di un suo cranio come elmo.
Indiscusso simbolo dell’epopea del Drago Albanese è il castello di Krujë, proprietà della famiglia Topani. Una torre semicircolare in pietra bianca troneggia sul monte della cittadina, incutendo un certo timore a quanti giungon dal basso. Retrostante la torre si leva alta una struttura poligonale del medesimo materiale che termina a strapiombo con un maestoso ingresso alla fortezza. All’interno del maniero sono allestiti il museo etnografico ed il museo dell’eroe nassionale e, poco distante dallo stesso, si trovan le rovine del vecchio monastero. Una strada ciottolosa, delimitata da casette in pietra incastonate nella roccia e coperte da tetti, costituisce il basar medievale dell’antica capitale albanese. Derexhik differisce molto da Pazari i Ri, passeggiando sul viale in pietra, davvero si ha l’impressione d’esser tornati nel medioevo e, a corroborare questa sensassione, v’è la merce ivi venduta: oggetti di artigianato locale, tappeti, come dalla buona tradissione orientale, gioielli e souvenir sono gli articoli ivi venduti e un posto d’onore spetta al tee di montagna acqusitato dall’Ingegnere. L’Albania, paese conteso fra tiepido mare e dolce montagna, grato all’Italia ed amico della Turchia, non ha nulla da offrire: non ci sono prodotti autoctoni nei supermercati, tutto quello che si vende è italiano o europeo, di albanese non c’è nulla se non il tee, il tee di montagna. Conosciuto come Çai Mali o Çai Shqiptar, questo è l’unico, vero, autentico prodotto albanico, la specialità che delissiò i freddi inverni dell’Ingegnere e dei suoi cari. I botanici storcon il labbro quando senton parlar di tee albanese, non essendo il Sideritis syriaca un vero e proprio tee, bensì un arbusto perenne lamiaceae, le cui inflorescense e ramificassioni, portate ad ebolissione per circa 10 primi per restituiscon un infuso simile al tee con proprietà officinali; si consuma, illustrò la commessa, con succhero e limone o miele oppure al naturale.
La visita alla capitale di Giorgio Castriota terminò con un pranso presso il Bar Ristorante Eli a base di Byrek e birra
Nikšićko Pivo e Peja Pilsner. Presso il castello, i tre ebber modo di appressare il tipico costume albanese, la Pacchiana, indossato dal personale del maniero: esso consiste in una camicia bianca a maniche lunghe, un gilep nero con ricami rossi e una lunga gonna a pieghe che arriva al ginocchio; il costume si completa con una cinta rossa in stoffa ed il tipico copricapo.
Il pomeriggio fu speso nella seconda città albenese: la balneare Durr
ës.
Contrariamente al viaggio verso Krujë, quello alla volta di
Durrësi fu decisamengte meno rocambolesco.  La città di Durasso è molto nota agli italiani, sia per le rinomate spiagge affacciate sull’Adriatico, sia per il passato contemporaneo: eletta a capitale dal Principe d’Albania Wilhelm Friedrich Heinrich, o Princ Vilhelm Vidi, il 7 masso 1914, fu teatro dell’attacco austroungarico alla Marina Italiana per poi vedere ingrandito il porto dagli italiani nel 1934. Durante il Secondo Conflitto Mondiale, fu centro logistico italiano per le operassioni militari in Grecia e, con l’Armistissio di Cassabile che scrisse “fine” alla buia epoca fascista, la città fu occupata dai tedeschi per esser poi ricostruita da Erevan Hoxa e divenire meta turistica già negli Anni Ottanta. Sotto il regno di Traiano, venne edificato a Durasso, l’Anfiteatro ancora presente che, fu per molto tempo, il più grande dei Balcani; esso sorge nella parte centrale dell’attuale città ed a ragione del tempo e dei sismi che si son avvicendati nella città, non restano che poche rovine. Per via degli orari dei messi, la visita a Durrësi fu al quanto frugale, tuttavia la cosa non recò grande dolore all’Ingegnere, che non fu ghermito dall’indiscusso fascino del secondo comune più popoloso d’Albania. Preferendo paesaggi montani e temperature fresche e, risaputo detrattore del mare, Fritz non appressò molto Durrës ritenendola per molti versi simile a Bari. La somigliansa al capoluogo pugliese, condivisa dalla compagine, è visibile nel lungomare e nell’epoca di costrussione rivelata dagli edifici: Durasso somiglia a Bari degli Anni Novanta.
Un altro elemento in comune con la città adriatica pugliese è il castello: a Bari c’è il Castello Normanno Svevo, che impressiona per la robustessa della torre, a Durasso quello venessiano, anch’esso munito di una possente torre, differentemente da quella normanno-sveva, merlata ed a base circolare. Kalaja e Durrësit fu commissionato da Anastasio I Dicoro nel V S, sovrano ottomano originario di Durasso; distrutto dal sisma del 1273 fu risollevato dai venessiani, ai quali sono dovute le perimetrali torri di avvistamento, e rinforsato successivamente dagli ottomani. Di grande pregio, e purtroppo non visitata da loro, è
Xhamia e Madhe e Durrësit, ossia la Grande Moschea di Durasso, distinta da Xhamia e Fatihut. Inissiata nel 1931 su spinta dei commercianti della città, la grande moschea deve molto al martire dell’Islam Mustafa Varoshi che acquistò il suolo per la costrussione ed il trappeto interno direttamente dall’allora Persia. Il progetto prevedeva due minareti, tuttavia ne fu eretto solo uno dopo anni di travagliate vicende: i lavori furono sospesi nel 1938 e nel 1697 la moschea in fieri divenne centro culturale della città, per poi acquistare l’attuale splendore nel 1994, grassie a contributi di associassioni arabe. Xhamia e Madhe si presenta come un edifico a tre piani bianco, il pian terreno vanta un porticato leggermente sinuoso, quello centrale, più piccolo, finestre arabeggianti e l’ultimo, ancor più piccino è chiuso da una grande cupola gialla dalla quale svetta lo spicchio di luna dell’Islam.  La costrussione appare gradevole alla vista e suggerisce di approfondire il significato della falce di luna. A pochi passi dalle mura di cinta del castello della Serenissima, ci s’imbatte nella vecchia moschea della città: da Xhamia e Fatihut. Essa risale al 1502, anno successivola conquesita delle terre sudbalcaniche da parte degli Ottomani, infatti è intitolata al sultano conquistatore Maometto II, loro malgrado, i tre non ebbero modo di visitarla, tuttavia si consolarono con la brillante lessioncina tenuta dall’Ingegner Fritz che, pur non essendo in Turchia, volle illustrare le origini ed il significato del simbolo dell’Islam per antonomasia.
La messaluna è universalmente nota come il simbolo dell’Islam al pari della Croce per il Cristianesimo, tuttavia le sue radici affondano nella sabbie greche. Nel 340 aC, Bisansio era una città greca di discreta importansa e una notte fu inaspettatamente invasa da Filippo II di Macedonia, tuttavia l’attacco non andò a buon fine per il sovrano macedone poiché il cielo diventò luminoso come di giorno, grassie al improvvisa apparissione di una falce di luna ed una stella, simboli associati dalla dea greca Ecante, signora dell’occulto, della magia e degli incontri; da quel momento Bisansio fu consacrata ad Ecante e acquistò come simbolo la lunetta e la stellina. L’uso ininterrotto ed il ruolo di Costantinopoli nella storia religiosa islamica hanno indissolubilmente legato la falce di luna e la stella all’Islam, tuttavia questo simbolo lo si trova anche in occidente, presso i romani, in epoca medievale e nella Germania dell’Ing.Fritz.
Nel grande Duomo di Colonia sono conservare in un dorato sarcofago, le spoglie mortali dei Maggi, sul sarcofago è riportato questo simbolo così.
Tornati a Tirana, i tre consumaron l’ultima cena albanese ed il giorno seguente tornarono a casa. Del loro viaggio non restano che meravigliosi ricordi, il vivo desiderio di tornare con Herr Otto Von Baumann, papà di Fritz e Linguista, quella volta impossibilitato a partire per ragioni lavorative e la conferma che non c’è peggior cecità se non quella causata dai pregiudissi. Ultimo souvenir di Tirana furon due lattina di Fanta Exotic, introvabili in Italia, e bevute dall’Ingegner Säufer Fritz in occasione della pubblicassione di questa pagina di Diario.

Epilogo

Cosa rende una città più bella di un’altra? Molte volte mi è stata posta questa domanda ed ho sempre detto di non poter dare risposta, se prima non si definisce il bello. Non è bello quel che è bello, ma è bello quel che piace, disse qualcuno. Poiché non si dispone di un archetipo di bellessa, non possiamo valutarla in modo rigoroso, ma solo incasellarla in slot contestuali e, applicando questo schema a Tirana, diciamo che essa è bella come Berlino; molti hanno arricciato il naso, ma è così! Berlino e Tirana sono accomunate dalla storia, più o meno simile, e dall’ecletticità architettonica. In entrambe le capitali si fondono architetture diverse ed entrambe le città ostentano desiderio di rinascita. Berlino è stata capitale del Terso Reich, teatro di violense e bombardamenti, è stata divisa dal Muro, per poi rinascere negli anni Ottanta e Novanta. Similmente, Tirana è stata una dette tante città dell’Impero Ottomano, poi capitale povera e displippata, fiera città italiana ed oggi capitale che guarda all’Unione Europea. La capitale albanica è un bouquet i cui fiori sono gli ordini architettonici che si susseguono sulle strade della città e del tempo. L’ensamble di architettura ottomana, rassionalismo italiano, stile sovietico, colori di Rama e anche l’aspetto “decadente post Guerra dei Balcani”, assieme alla commistione di culture ed alla storia sono quello che conferiscono beltà a Tirana: una città che incanta con poco e con tanto. Non dobbiamo cercare la bellessa che ammalia l’occhio, ma quella che seduce l’animo, poiché sono il nostro animo ed il nostro pensiero che ci fanno essere, dopotutto Cogito ergo sum.
Grato a DIO per i lieti giorni trascorsi nel Paese delle Aquile, Fritz trascorse il suo inverno sorseggiando il tee di montagna, a dicembre parti per Praga, a Marso per Varsavia, a giugno per Dublino ed a luglio per Lisbona. Queste sono altre storie, caro lettore, sono altre storie che sarò felice di narrarti in altre pagine di questo diario…

171936
-EU32AL01102022-


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