31 Io in Albania Ottobre 2022
Prologo
“Cogito ergo sum!”
-Penso dunque sono, esisto!- L’esistensa dell’uomo,
sostiene l’Ingegner Fritz Von Baumann, è subordinata all’attività intellettiva,
al pensiero indipendente: se pensiamo esistiamo, altrimenti siamo solo carne
animata, che vive di istinto ed emulassione,
alla stregua della stragrande maggioransa dell’umanità! Seguire una moda
od un influenser -come ora accade-, identificarsi in uno stereotipo, attendere
ad un ruolo, magari correlato all’età, svilisce la natura umana, trasformando
l’uomo in un fantoccio. Maturare un pensiero proprio, autonomo -anche turpe o
inusuale- restituisce dignità all’uomo e ne conferma l’esistensa: sottolinea
che quella persona esiste, c’è! Questo non è funsione dell’idea in sé, ma del
solo sviluppo dell’idea stessa: se penso esisto, se mi allineo smetto di
esistere come essere unico ed irripetibile e divento un clone!
Il pregiudissio, il comun parere, il pensiero condiviso sono quelle cose che ci
depauperano della nostra dignità, ci assurgono al vile rango di inutili
repliche, di carni animate. Un pregiudissio molto diffuso in Italia è quello
che assimila gli Albanesi a gente abietta e dedita al crimine e l’Albania ad
ostello di povertà e delinquensa. Giunto in Italia negli Anni Novanta, anche
l’Ingegner Fritz Von Baumann non è stato immune al pregiudissio antialbanese,
poiché in quegli anni era diffusa la malsana convinsione secondo la quale tutti
i crimini riferiti dalla cronaca fossero compiuti da albanesi. Infervorato dalla
verve di divellere quel bieco castello di calunnia e ignoransa e mosso dal
magellanico desiderio di scoperta, dopo l’Islanda, l’Ingegnere partì per
l’Albania, tornando dopo sette anni nei Balcani.
Venerdì, 28 Ottobre 2022
Terra sospesa fra Oriente ed Est-Europa è l’Albania,
con uno lato lambito dall’Adriatico ed uno rivolto alla Grande Madre Russia.
Breve ma intensa è la storia del Paese delle Aquile, una storia che lo vede
ancestralmente legato all’Oriente salvo alcuni istanti di indipendensa, subito cessati
con l’arrivo dello straniero. Con la Scissione dell’Impero romano, l’attuale
Albania rientrò nei confini dell’Impero di Bisansio per diventare indipendente
solo nel Secolo IX, ponendo Krujë a capitale del Principato di Arbanon. Nel
1478, dopo ventiquattro anni di valorosa difesa, guidata da Giorgio Castriota
già Scandenderg, il Principato tornò sotto l’egida turca fino agli albori della
Grande Guerra durante la quale, con la caduta dell’Impero Ottomano ed il
sostegno dell’Italia, l’Albania riacquistò la sua indipendensa, per poi entrare
nel campo gravitassionale dell’URSS con Enver Hoxha. Divenuto finalmente libero
nel 1991, lo Stato Balcanico dovette fronteggiare una gravissima crisi economica,
che si tradusse nell’esodo degli albanesi verso la Puglia. Seppur laconica e
qui brutalmente sintetissata, la storia mostra come questo paese sia atavicamente
legato alla Turchia, bastione d’Oriente, all’Italia ed all’Europa Orientale. La
Geografia è perentoria e l’Albania, quale stato balcanico, ha subito
l’influensa slava, delle vicine Jugoslavia, Bulgaria, Romania ed Ungheria e
dell’Italia, che ne ha favorito l’indipendensa dopo il Primo Conflitto Mondiale
e negli anni del Fascismo, infine è stata porto d’approdo durante la crisi
post-comunismo. Edotti sulle travagliate vicende dello stato, possiamo
profilare l’Albania e gli albanesi come una terra ed un popolo dalle due anime,
una orientale ed una occidentale. Questo lo evinciamo da qualsiasi sfaccettatura:
la religione predominante è quella islamica, pur essendo diffuso il
Cristianesimo Cattolico ed Ortodosso; la cucina non è così dissimile da quella
turca o slava: infatti fra le principali pietanse sono annoverati i Sarma e i
Baklava, rispettivamente rollè di foglie di versa, molto simili ai Gołąbki
polacchi e diffusi in tutta la Slavia e tipici dolcetti turchi; l’abbigliamento
richiama quello ottomano e slavo e ad esemplificare ciò vi è il Qeleshja,
tradissionale copricapo albanese, imparentato con il Fes dei turchi o i gilet,
tanto cari agli ungheresi ed ai romeni; architettonicamente, Tirana appare come
un prato fiorito, i cui fiori sono gli austeri e spartani palassoni sovietici,
i basar, le moschee e le chiese ortodosse e cattoliche in minoransa.
Atterrati dopo soli trenta minuti di volo all’Aeroporto Internassionale di
Tiran Rinas, “Nënë Teresa”, Ing.Fritz,
Mamma Ins.Ingrid e Fratello Linguista raggiunsero il loro alberghetto e subito
evocarono Sagabria. Appena arrivati, i quattro furon colpiti dalla fatiscensa
degli edifici e dall’atmosfera post conflitto, infatti i quartieri più
periferici della capitale croata rimandavano agli anni della Guerra dei Balcani,
così come quelli di Tirana. Lungi dall’assumere tinte denigratorie, la precedente
assersione afferma che uno stato reduce da anni di dittatura comunista di
orientamento marxista ed isolassionista, da gravi crisi economiche, totale
assensa di industrie, interrussione di rapporti commerciali con l’estero ed
economia da terso mondo non può ostentare palassoni in vetro ed acciaio, ma
rabberciare con quanto lasciato dai precedenti governi, in attesa di tempi
migliori e imminenti. Or sono anni che l’Albania ha presentato domanda di
adesione all’UE e già nel 1997 ha sottoscritto gli Accordi di Maastricht, il
che dimostra quanto sentito sia il desiderio di diventare un paese occidentale,
anche se i fanstasmi del passato ancora volteggiano fra le strade del paese.
Consapevoli di ciò i tre schiusero la porticina e si trovarono in una stansa
pulitissima e che nulla aveva da invidiare a quella degli altri alberghi da
loro praticati e per di più, con immensa gioia dell’Ingegnere, in tutte le
stanse c’era il frigorifero. Ciò fu un graditissimo regalo, infatti in ogni suo
viaggio Fritz ha irosamente lamentato l’assensa del frigo in camera, frigo che
divenne utile già dopo la prima cena.
Lasciata la Guesthouse M&S, i tre si diressero in centro per il giretto di
rodaggio della capitale e per provare la cucina locale: prima attrassione
incontrata fu la ETC Galeria. Nel corso del viaggio, Ins.Mamma Ingrid,
Ing.Fritz e Prof.Linguista con grande gioia constataron la grande stima ed
amicissia che gli albanesi nutrono nei confronti dell’Italia e come imitato sia
il Bel Paese e la ETC Galeria ne è un esempio. Imperativo categorico della
Belle Époque fu la mondanità, che da sempre cavalca il destriero che predilige gli
sfavillanti viali pedonali dello shopping e, nel tempo in cui le pesanti
armature furon conseravate in cantina e gli eleganti ombrellini da passeggio
pullulavano nelle città, nacquero le gallerie commerciali: nell’Italia
dell’Epoca Bella, la Galleria Umberto I e la Galleria Vittorio Emanuele II
erano gli “anelli ippici” di Napoli e di Milano e solo nel 2006 anche Tirana si dotò di una galleria
commerciale, appunto la ETC Galeria. Tralasciando la relatività del tempo, la
strada commerciale coperta di Tirana fu una sorta di propulsore commerciale in
Albania e fu allestita per portare in capitale quella mondanità di cui la città
era deficitaria. La galleria appartiene al Concord Investment Group, primo
gruppo di investimenti albanese, e si articola in una sorta di centro
commerciale e residensiale: vanta di eleganti bar, negossi di moda, edifici ad
uso abitativo, amministrativo e commerciale, librerie, un supermercato, una
banca ed un parco giochi. Il grande amore verso l’Italia trova forma liquida e
commerciale rispettivamente nel caffè e nel supermercato: tutti, tutti i bar
servono solamente caffè italiano, il più grande bar della galleria è della
Vergano e l’unico supermercato è un Conad.
Seguendo il flusso pedonale Ins.Mutti e figlioli si ritrovaron su Rruga Sami
Frashëri, stradone pedonale intitolato al filosofo e patriota, riformatore
della lingua turca ed autore di brillanti opere della letteratura ottomana,
meno noto come Şemseddin Sami Bey. Con Sami
Frashëri si evince quanto “covalente” sia il legame fra Albania e Turchia, infatti questi nacque a Frashër e morì ad Istanbul,
scrisse in turco e fu figura di spicco del movimento politico Rilindja Kombëtare Shqiptare, che dal tardo
Ottocento al 1912 perorò la causa indipendentista albanese, portando il paese
all’indipendensa agli albori della Prima Guerra Mondiale. Il suo pensiero
politico, di orientamento nassionalista, vedeva come pilastri l’istitussione di
un alfabeto albanese e della pubblica istrussione e, naturalmente
l’indipendensa del paese, come scritto nel suo testo Shqipërija ç'ka
qenë, ç'është e ç'do të bëhetë? [Albania, cosa è stata, cosa
diventerà?]. Il viale pedonale, da loro praticato, rivelava quanto Tirana brami
l’occidente e quanto da esso disti. Bordato da negossi di abbigliamento,
elettronica, souvenir, ristoranti e barretti, la Rruga [strada] non appariva
dissimile da quelle occidentali, ma le insegne e le merci, così come
l’architettura e lo stato di conservassione degli edifici, palesavano il gap
con l’occidente. Come già raccontato nel Diario di Viaggio di Riga, Nel
Grande Letto della Lettonia, a quanti sono avvessi a viaggiare, bastan
pochi insignificanti dettagli per evincere l’area geografica in cui si trovan e
Tirana esplicava d’essere nei Balcani. Con la cupidigia dei bambini, che
reclamano un orsetto gommoso dopo un altro, anche l’Ingegnere scrutava
incantato ed incuriosito quella capitale appena raggiunta e, come sovente
accade, non poté che ritrovarsi nella sua Germania. Dilagano il Nordrhein Westfallen i Kiosk,
ossia piccolissimi negossi adibiti alla vendita al dettaglio di drink; essi
sono allestiti in locali di modestissime dimensioni, una sola saracinesca, e
vendono naturalmente birra e bevande di ogni genere; simil attività si trovano
in Svessia e nei Paesi Baltici, in Spagna in Italia con i popolari h24. I kiosk
albanesi assomigliavano ai Narvesen o alle edicole de La Gassetta del
Messogiorno in lamiera assurra -od oggi verde- che pullulavano in Italia e, a
differensa di questi, presentavano ai loro lati una fila di frigo-vetrine: ai
lati del gassebo metallico, alimentati da un groviglio di cavi in bella vista,
v’erano tre o quattro vetrine refrigerate, contenenti lattine e bottiglie,
vendute dall’esercente seduto nel chioschetto; alla chiusura dell’attività, le
ventrine venivano assicurate con catena e lucchetto e lasciate lì dov’eran.
Appressò molto Fritz Säufer, i kiosk albanesi, sia per il richiamo alla
Germania, sia per la fruibilità di drink, drink che già la prima sera
riempirono il frigo della sua stansa. Felice e contento di aver a portata di
mano bibite fresche, l’Ingegnere prese posto, assieme ai suoi cari in un
grassioso ristorantino dello stradone Sami Frashëri: Zgara Korçare 2 ove consumò assieme alla mamma Mix i Vogël e
bevve un Kriko e Madhe di Peja [Grande pinta di Birra Peja]; mentre il fratello
vegetariano optò per Djathë Kaçkvall. La prima pietansa è un classico della
cucina albanese, Mish ne Zgare, ovvero un arrosto misto contenente bistecchine
e würste di mucca, pecora, tacchino. Dal piatto ancora una volta si evinceva
l’ubicassione geoculturale dell’Albania: aderentemente alla Sharia, non v’era
maiale nel piatto: la carne era molto spessiata e cotta, il sapore evocava
aglio e paprika, da ciò e da altri dettagli qui non riportati si comprende
quanto vicina sia l’Albania alla Turchia musulmana ed all’Europa dell’Est, ove
rispettivamente, non si consuma maiale, ma pecora e montone e si abbonda con
aglio e paprika. Il fratello vegetariano consumò del formaggio piastrato.
Attraversando a ritroso, i tre tornarono alla Galleria e, come Carmencita della
Spagna del 2013, elessero a punto di riferimento la statua plastica del
pissaiolo, posta all’imbocco del viottolo del B&B.
Naten e Mire!!!
Sabato, 29 Ottobre 2022
Il secondo giorno di
viaggio, come da programma votato all’esaustiva visita della capitale balcanica,
ebbe inissio con una “colassione internassionale” in un bar della Galeria.
L’aggettivo internassionale sta ad indicare l’eterogeneità delle portate:
Ins.Mamma consumo caffè espresso italiano, facilmente reperibile in Albania, il
fratello brioche francese e l’Ingegnere caffè turco. La scelta delle pietanse
fu dettata in primo luogo dai costumi dei singoli commensali -è risaputo che
Ins.Mamma consuma solo espresso per colassione-, subito dopo dal paese:
trovandosi in uno stato conteso fra oriente ed occidente, necessitava conformare
la colassione al luogo: così Insegnate e Linguista puntarono ad Ovest e
Ingegnere ad Est, assaggiando per la prima volta in assoluto il caffè turco,
che immediatamente conquistò Fritz e mandò su tutte le furie il fratello, che
vide l’Ingegnere incensare il “beverone” e dispressare il caffè italiano….
Quella mattina ebbero luogo due debutti, il caffè turco per l’Ingegnere e la
Moschea per l’Insegnate. Con la caduta del comunismo avvenuta nel 1991, fu
ripristinata la libertà di culto, cosi che i cristiani ed i musulmani poterono
tornare a pregare nei rispettivi templi, e con ciò si riscontò l’inadeguatessa
della moschea di Tirana: essa poteva ospitare solo sessanta fedeli, numero
esiguo dato che la maggioransa della popolassione era di confessone islamica. Mosso
dal desiderio di spassar via ogni ricordo della dittatura e restaurare il suo
paese, nel 1992 presidente Sali Berisha pose la prima pietra per l’edificassione
della nuova Xhamia e Madhe e Tiranës [Grande
Moschea di Tirana], anche nota come Xhamia e Namazgjasë. Nonostante le ottime
intensioni, i lavori ebbero inissio solo nel 2010 e continuano tutt’oggi, a
ragione della maestosità del progetto, che prevede quattro minareti alti 50m,
cupola centrale alta 30m, capiensa 4500 persone e l’impegno del governo turco a
finansiare i lavori, che doneranno alla città la più grande moschea dei
Balcani. In attesa della consegna della Xhamia e Namazgjasë, l’ufficio
religioso dei fedeli di Tirana ha luogo in quella che dal 1823 è la moschea
della capitale albanese e, oltre a rivestire importansa religiosa, assume
rilevansa storica. Eretta nel 1789 -o 1207 secondo il calendario islamico- per
volere del leader religioso ottomano albanese Et’hem Bey Mollaj, già Molla Bey
of Petrela, e completata da suo figlio Haxhi Ethëm Bey nel 1823, la Xhamia e
Et'hem Beut ha vissuto il suo massimo splendore negli anni in cui l’Albania era
un protettorato fascista italiano ed il suo oblio negli anni del comunismo,
durante i quali fu completamente interdetta. La Moschea di Et'hem Beut si differensia
sostansialmente da quelle mediorientali per il suo stile “innovativo”. La
regola architettonica tradissionale prevede che il minareto sia cilindrico o
quadrato, quello della vecchia moschea vanta base quadrata e torre
cilindrica con il classico balconcino e tetto conico; l’entrata presenta un
porticato con tetto spiovente a tegole marroni sorretto da 15 colonne e 14
archi decorati con motivi floreali, ripresi all’interno. Gli affreschi delle
moschee del vicino oriente si costituiscono di scritture in arabo su fondo
color pastello, poiché non è permesso rappresentare la divinità, ma solo
scriverne il nome, ergo la scrittura è particolarmente curata e gradevole alla
vista; gli affreschi della moschea di Tirana sono autoctone: si rifanno alla
pittura albanese, che si esplica in nature morte ed ameni paesaggi, quindi si vedono
motivi floreali, cascate, ponticelli. L’Islam prevede che il fedele esegua la Şalāt con il naso, la fronte e le mani sul
pavimento e rivolti al Qibla, ossia la
diressione della Mecca, e questa è segnalata dal Mihrab, un anfratto verticale
nella parete che guarda alla Mecca appunto, affiancato dal Minbar, ossia il
pulpito dai gradini dispari dal quale l’Iman intona la preghiera, precedendo
l’assemblea.
Cilicio arrugginito o lancette
animate che, alla guisa delle cesoia da giardino recidono la testa dal collo,
così son gli orologi: malefici strumenti che, con il loro perpetuo ticchettio,
scandiscono impietosamente gli istanti della nostra vita e l’ultimo tac del regime
comunista albanese scoccò proprio in prossimità di un orologio, emblema
architettonico di Tirana: Kulla e Sahatit. Questa è la Torre dello Orologio, opera
minore dell’inissiatore della moschea, Etëhem Bey Mollaj; insiste al fianco del
luogo di culto dal 1811 e, con i suoi 35m di altessa, all’epoca vantava il
titolo di edifico più alto della città. La torre, a base quadrata, con
balconcino e tetto spiovete, alloggia nel piano superiore, raggiungibile
mediante una scala a spirale di 90 grandini, gli ingranaggi dell’orologio e, in
quello inferiore, le campane, originariamente di Venessia. Il 18 gennaio 1991,
diecimila persone, armate di bandiere e striscioni, entrarono in Xhamia e
Et'hem Beut e inissiarono a pregare, dichiarando di fatto il ripristino della
libertà di culto in Albania, la pubblica protesta avvenne sotto lo sguardo
della polissia che, inerte e stanca della repressione, non si oppose alla cosa;
quello fu il calcio di inissio della partita che si concluse con la
liberassione del Paese. Fra gli spettatori di questo metaforico incontro
calcistico vi fu Kulla e Sahatit che d’allora divenne simbolo della nuova
Albania. Personalmente ignoro la distansa kilometrica fra Taipei e Tirana, ma
ritengo che fra le due capitali intercorrano camerateschi rapporti, tanto da
epitetare Parku Rinia, Taiwan. Al termine della Seconda Guerra
Mondiale, venne allestito a Tirana un parco per giovani e famiglie, appunto
Rinia ossia gioventù, e poco dopo, nelle sue immediate vicinanse fu edificato
il Ish-Blloku, una sorta di città proibita cinese e, poiché il giardino pubblico
era una vera e propria isola verde nel cuore dell’oceano urbano e prossimo alla
cittadella proibita, esso venne ironicamente soprannominato Taiwan. Nello
stesso periodo il regime comunista albanico [licensa colloquiale fritziana]
interruppe i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese e riconobbe
l’indipendensa della Repubblica di Cina [Taiwan]. Essendo stata l’Albania il
primo stato a riconoscere la Cina Nassionalista, questa fece dono delle fontane
luminose del parco in oggetto che, fra l’altro ospita due singolari monumenti:
una parete del Muro di Berlino, che fu riunificata negli stessi anni della
liberassione albanese e il Monumento del Centenario dell’Indipendensa
dell’Albania, realissato in Austria da Visar Obrija e Kai Kiklas. Il lastrone del
Berliner Mauer è il vertice di un triangolo che compone il Postbllok Memorial i
Izolimit Komunist [Memoriale alle vittime dell’isolamento comunista]. Tre
minute stradine disegnano nel parco un triangolino i cui vertici ospitano il
prefabbricato del Muro di Berlino, un mini buker ed una sorta di gabbietta. I
tre vestigi hanno un significato preciso: il Berliner Mauer ricorda che lì
insisteva il checkpoint della Ish-Blloku, infatti è stato preso da
Postdamerplatz ove v’era un checkpoint; il bunker è chiaro richiamo all’era
comunista che costellò l’intero stato di simili strutture in vista di un
conflitto nucleare e la gabbietta in calcestrusso è realissata con i pilastri
utlissati nella miniera del campo di lavoro Burgu i Spaçit, ove i prigionieri del
regime scontavano la pena ai lavori forsati.
La Quanto a Ish-Blloku,
esso è stato un quartiere della capitale, precluso ai cittadini e riservato ai
dirigenti del Poliburo Albanese ed alle loro famiglie, oggi è troneggiato dalla
la SkyTower ed è simbolo della rinascita della città.
Zog I Scanderbeg III
Re degli Albanesi fece una lunga carriera, fu infatti primo ministro,
presidente della repubblica e re dello stato adriatico ed a lui è attribuita la
più famosa e grande piassa della capitale, l’ottantunesima al mondo in ordine
di estensione: Piassa Scandenderg. Concepita nel centro storico nei primissimi
anni del XX S in stile rassionalista, lo slargo urbano fu ampliato e
completamente restaurato dai fascisti italiani, per poi assumere connotassione
prettamente sovietica negli anni del comunismo, durante i quali si vide punto nevralgico
di stradoni e palcoscenico di severinissime parate militari. In quegli anni, la
piassa era completamente spoglia, poiché atta a contenere carri armati e
plotoni in sfilata, vantava solo di un cippo sorreggente una lastra marmorea
riportante la data dell’indipendensa e due statue, una di Lenin e l’altra di
Enver Hoxha, da lui stesso collocate. Conseguentemente alla caduta del regime
comunista, le due statue furono distrutte dal popolo in festa e rimpiassate con
l’effige bronsea ritraente l’erore nassionale a cavallo, opera di Odhise
Paskali. Nel 2017 il foro ha subito un nuovo e significativo restauro: è stato
lastricato con pietre provenienti da tutti i paesi in cui è diffuso il
nassional idioma: Montenegro, Kosovo, Calabria, Grecia, Macedonia e Puglia. Oggi,
come un tempo, Sheshi Gjergj Kastrioti Skënderbeu, è il punto focale della
città e nei giorni di viaggio ospitava il mercato settimanale ed un concerto di
artisti locali. A seguito dell’Indipendensa dal caduto Impero Ottomano,
l’Albania divenne un protettorato italiano per poi esser occupata durante gli
anni del Fascismo. Pur stigmatissando le invasioni e le dittature, in ogni loro
sembiansa e colore e ritendendo essere mai giustificabili e sempre bieche,
occorre dire che, se soppesassimo le responsabilità dei regimi che si
avvicendarono nel paese, potremmo subito dire, che solo sotto l’egida italiana,
l’Albania vide prosperità, sviluppo e
modernità e, con l’unione doganale, anche gli albanesi poterono godere di tutti
quei beni largamente diffusi in Italia ed a loro ignoti fino ad allora, parlo
di indumenti, pasta, alimenti, casalinghi e simili. Esempi del generoso lavoro
fatto dall’Italia nell’albanico stato si trovano a pochi passi dalla piassa
centrale e sono le costrussioni deputate a pubblici uffici che, per la loro
architettura ed il loro aspetto, ricordarono tanto Bari all’Ingegner Fritz. Negli
anni a ridosso fra i due Conflitti Mondiali, si sviluppò in Occidente in Movimento
Moderno: una corrente architettonica, derivata dalle teorie di Vitruvio esposte
nel De Architectura e da quelle del rinascimentale Leon Battista
Alberti, che orientava la progettassione degli edifici al mero funsionalismo
sensa trascurare l’aspetto estetico, questa volta del tutto rivisitato; gemma
di questo canone fu il Rassionalismo Italiano, che dilagò nell’Italia fascista,
nelle sue colonie e, a ragione del carattere innovativo e dell’origine
italiana, spopolò anche negli USA. Milano, Bari, Taranto, Torino, Trieste e
tutte le città di Italia vantano opere pubbliche rifacentesi allo stile
rassionale, che non ha mia ghermito l’Ingegnere, sempre fedele fautore del
Gotico, in tutte le sue declinassioni.
Subito dopo la dichiarassione di indipendensa dell’Albania, avvenuta l’11
febbraio 1920 e la istitussione di Tirana capitale, architetti austriaci
stillarono un piano regolatore della città che, pur prevedendo l’allargamento
delle strade maggiori e l’edificasione di nuovi edifici, presentava gravi
problemi di attuabilità così 1924, si provvedette alla stesura di un nuovo
piano regolatore e si diede incarico all’architetto italiano Armando Brasini,
incaricato dal presidente Amhet Zoug. Si deve a lui la Nuova Tirana e Piassa
Skandenderg con i grandi stradoni dipartenti da essa e ad altri due architetti
italiani, Florestano di Fausto e Gerardo Bosio, la progettassione degli edifici
ministeriali e della definissione urbana del lato sudorientale della città.
La Nuova Tirana ottemperava ai requisiti urbanistici europei e consentì, per la
prima volta, che i cittadini avessero case private, parchi e spassi liberi.
Contrariamente alla filosofia urbanistica attuata dagli italiani, quella
comunista, instaurata dopo la Seconda Guerra Mondiale, mutò il volto della
capitale, trasformandola in una città grigia e poco attraente, caratterissta
dai Chruščëvka, ovvero i palassono sovietici in cemento armano o mattoni,
tipici degli Anni 60. Nel 2000 il sindaco di Tirana, Edi Rama, mise in atto una
campagna di rinnovo, tesa a spassar via i vestigi della dittatura e ridar vita
alla capitale. Essa consisteva nel colorare, affrescare, abbellire e decorare
gli austeri palassoni di Erevan Hoxha, facendo uso di colori vivi, accesi e
sgargianti, come a voler scacciare gli anni della dittatura ed oltraggiare il
regime. L’Edificio Viola, il caseggiato di Shallvare, fabbricati di O Unasa e,
primo fra tutti, il Palasso Arcobaleno sono solo alcuni esempi del tiranico
newstyle [Tirano, licensa colloquiale Fritziana]. Vorrei precisare che anche le
fatiscenti costrussioni nelle immediate prossimità dell’albergo vestono iridate
tinte e che il Palasso Arcobaleno è stato il primo ad esser “rinato” a ragione
della vicinansa al Blloku, [quartiere proibito] ed il motivo pittorico,
l’arcobaleno, costituiva un vero e proprio affronto alla severinità comunista.
Si usano gli
specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima, deduciamo da Bernard Shaw ed è con l’arte moderna che
la capitale balcanica guarda e mostra il suo animo, ovvero la brama di
obnubilare il tormentato passato e guadagnarsi un piccolo scrano nel pantheon
delle capitali occidentali. Per far ciò si dota di opere d’arte ed una delle
più popolari è Reja-The Cloud, dell’architetto giapponese Sou Fujimoto che,
dopo averla presentata a Londra, la dona a Tirana e la posissiona di fronte alla
Galeria
Kombëtare e Arteve; l’istallassione riscuote da subito successo, diventando
sede di manifetsassioni pubbliche, anfiteatro, selfie spot e Ruhegebiet.
Reja-The Cloud appare come una sorta di graticcio tridimensionale che, come una
nuvola, si fonde con il circostante paesaggio e alla stregua della geometria e
delle sue forme si mescia con l’uomo e con la natura.
Un’altra sineddoche del
rinnovamento albanese è la marchiale riqualificassione dello stravagante
monumento brutralista Piramida. Indiscusso dittatore del paese balcanico, Enver
Hoxha commissionò l’edificassione di un monumento alla sua memoria, un
monumento maestoso, degno di lui e della sua potensa, un monumento che lo
avrebbe celebrato nel tempo e così sua figlia con il consorte, entrambi
architetti, progettarono quello che venne poi infelicemnte battessato Mausoleo
di Hoxha, ossia la Piramide di Tirana.
Questa è un edifico in stile brutalista a foggia di piramide, in marmo e vetro,
eretto per essere un museo dedicato all’eredità culturale e politica del
dittatore; fu inaugurato il 14 ottobre 1988, pochissimo dopo la dipartitra del
leader albanese e, secondo molti, fu la più costosa opera mai realissata in
Albania. Sebbene imponente e singolare, essa non riscosse mai il plauso del
popolo, tanto da esse stata più volte vandalissata ed impiegata per molteplici
scopi, tutti differenti da quello originario, inoltre non poche volte fu
proposta la demolissione. Esecrata dai cittadini, poiché evidentissimo simbolo
della dittatura ed evocatorice di brutti ricordi, la Piramide è oggi rivalutata
a fronte della sua posissione e del suo insolito aspetto, che la rende un
monumento di tutto rispetto. Tanto per continuare
il confronto fra eredità italiana e comunista, presento Boulevard Dëshmorët e
Kombit [Viale dei Martiri della Nassione]. Questa è uno dei principali viali di Tirana, fu
progettato dall’arch.italiani Gerardo Bosio, inissia e termina sulle due grandi
piasse della città, Sheshi Gjergj
Kastrioti Skënderbeu e Sheshi Nënë Teresa, ed è bordato da palassi rassionalisti
italiani. Al capolinea dello stradone si incontra, nella sua piassa, la statua
di Madre Teresa di Calcutta che, come in vita, ha le braccia aperte per accogliere
chiunque giunga da lei. Sulla stessa piassa sorge l’Università di Tirana,
maestosa opera dell’arch. Bosio. Questi volle sposare il paesaggio e la storia
e realissò un edificio simile alle fortesse romane, formato da tre
parallelepipedi in fila; quello centrale, in linea con la collina retrostante,
omaggia la Torre di Tirana e la compattessa possente dell’intera struttura
indica il forte carattere del paese. Seppur refrattario all’architettura
rassionalista, l’Ingegnere appressò molto il Muncipio di Tirana e la sede della Banca
Nassionale. La Banka Kombëtare e
Shqipërisë è un’opera completamente italiana: fu disegnata dall’arch.italiano
Vittorio Ballio Morpurgo ed edificata dall’impresa Straccioli&Fortusi e,
chiaramente, si rifà al canone rassionale, per di più fu edificata nel 1936,
anno di nascita del Nonno di Fitz. Il fabbricato colpisce per la singolarità
della pianta: un rombo con i lati posteriori rettilinei e quelli anteriori
arrotondati e coincidenti in una sorta di arco di circonferensa. L’ingresso si mostra
come un porticato sorretto da pilastri rettangolari e la sommità è chiusa da
una cupola concava in vetro e ferro; tutto l’edifico è in mattoni marroni. Altri
esempi di architettura rassionalista, realissati dagli italiani nel post Primo
Conflitto e negli anni del Fascismo, sono il Museo di Storia, l’Opera, il
Palasso Presidensiale e quello della Cultura; su di essi non mi dilungo al fine
di dedicare maggiore spassio ad altre highlights. Un ulteriore cimelio dell’era
comunista è l’apparentemente innocua Shtëpia me Gjethe {Casa delle Foglie}.
Essa nasce come un ospedale per la maternità, per poi diventare sede della
terribile Sigurimi, ossia la polissia segreta comunista. La Casa delle Foglie deve il suo ironico
epiteto al fatto che essa appariva coperta dalla lussureggiante flora che
l’avvolgeva e fu proprio la copiosa vegetassione a renderla idonea a diventare
sede dei servissi segreti. Apparente come una villa borghese, la casa ospitava
polissiotti e uomini impiegati nello spionaggio quotidiano: si dice che le
pareti fossero bardate di microfoni e transreciever atti a captare le
conversassioni dei cittadini che s’intrattenevano nelle vicinanse. All’interno
v’erano uffici, prigioni e stanse di tortura, ancor oggi si racconta che molti
parenti degli attuali cittadini di Tirana furono torturati e obbligati a
fantasiose confessioni all’interno di quelle stanse. La repressione subita
dall’albanico popolo, che ricordo esser terminata solo nel 1991, ha ingenerato
una radicale rivisitassione della cultura locale e della politica: l’attuale
Albania è uno stato libero e nassionalista, economicamente capitalista, tutela
la proprietà privata e presto entrerà nell’Unione Europea; tangibili esempi del
nuovo patriottismo sono il monumento Madre Albania e il monumento
all’indipendensa. Il primo, Nëna Shqipëri, svetta nel Cimitero dei Martiri della
Nassione e rappresenta una madre che veglia sul sonno dei caduti per la partia.
La donna della statua, Madre Albania, appare fiera e poggia su un piedistallo
che riporta l’omaggio ai martiri [Gloria Eterna ai Martiri della Patria], tiene
nella mano destra, levata al cielo, una corona d’alloro ed una stella. Nello
stesso cimitero riposava, in una sontuosa tomba, il dittatore comunista Erevan
Hoxha, ma nel 1991, la sua sepoltura fu grintosamente divelta le sue spoglie
mortali furono in parte disperse per strada, in parte sepolte in una tomba
anonima in un cimitero pubblico; ciò che è chiara dimostrassione del rancore
nutrito dal popolo per il dittatore. Nëna Shqipëri è stata realissata dagli
scultori Kristaq Rama, Muntaz Dhrami and Shaban Hadërri, il suo aspetto
massiccio ed il volto squadrato della madre evocano opere italiane del primo ventennio
del Novecento. Il monumento all’indipendensa si deve all’architetto kossovaro
Visar Obrija ed all’architetto tedesco Kai Roman Kikla che trassero
ispirassione dalla tradissione albanese. L’opera può esser vista come un
parallepipedo a base quadrata aperto, nelle facce interne sono incise l’Aquila
Albanese e le firme dei padri della patria; fu realissato in Austria, altessa,
peso e largessa ammontano a: 6.5m, 15t, 5.5m. Quanti hanno visitato l’Albania,
hanno sicuramente notato che l’intero paese pullula di bunker, infatti se ne
contano 750000 circa. Assunto il potere nel 1944, Enver Hoxha instaurò una
singolare dittatura comunista nel paese delle Aquile, sue peculiarità furono la
presa di distansa dall’URSS, l’orientamento meramente marxista, cosa non attauta
in altri paesi comunisti, e la politica di isolamento: l’Albania era uno stato
isolassionista, non intratteneva rapporti diplomatici consisistenti con nessun
paese -neanche con Taiwan-
e i confininanti balcanici intercorrevano rapporti molto esili. Inissialmente
intimorito dall’idea di una possibile invasione del suo stato, il dittatore fu
affetto da una vera e propria paranoia dell’invasione tanto da investire
grandissime somme per la realissassione di bunker. Come i funghi in una pineta
della Sila, l’Albania vide presto sorgere sul suo suolo bunker e rifugi in
cemento armato, atti a difendere il paese da una eventuale aggressione, che
oggi diciamo non ha mai avuto luogo, tuttavia la dissenteria edile che colpì
Hoxha spinse lo stesso a tagliar fondi alla Pubblica Istrussione, alla sanità,
alla modernissassione del paese ed allo sviluppo economico al fine di costruire
rifugi antiatomici che, come già detto, se ne contano 750000 o, secondo alcuni,
175000; numeri da capogiro. I funghetti in cemento armato furon da subito
malvisti dal popolo, per poi divenire onnipresente ricordo della dittatura e
della politica del dittatore, tuttavia come la storia insegna, il popolo
albanese è sempre riuscito a vincere le avversità ed a rialsarsi ed i bunker ne
sono un esempio. Nati dal delirio di Hoxa e simbolo e ricordo di anni bui, oggi
essi si prestano ai più disparati scopi, scopi che oltraggiano la loro
vocassione inissiale: sono essi luoghi di aggregassione, felicità e armonia.
Nei bunker sono allestiti bar, discoteche, musei, botteghe di tatuatori, poli
culturali e simili...
Il fischio d’inissio della
partita che trasformò i Bunker in fröhlicher Räum {luoghi gioiosi} fu tirato nel
novembre 2014 dal girnalista italiano Carlo Bollino, che propose di allestire
un video museo nel bunker di Ruga Fadil Deliu, dedicato alla storia
dell’esrcito comunista albanese ed alla vita quotidiana del popolo durante gli
anni del regime. Il grande successo riscosso portò alla fondassione di una ONG,
Qendra Ura, atta alla cura del progetto ed ad uno staff di ricerca
storica coordinato dal giornalista albanese Admirina Peçi ed all’allestimento
di BunkArt 2 nel novembre 2016. Questo, forse più sinisto del primo, racconta la
storia della terribile Sigurimi e del Ministero dell’Interno. Accessibile solo
dal palasso del dicastero, il bunker consta di 24 stanse ed un salone dedicato
alle telecomunicassioni, dato che lo spionaggio era una delle principali
attività della polissia segreta. Negli ambienti sotterrai si possono ammirare
con sgomento gli stumenti di repressione del regime, video di epoche al quanto
vicine, celle per detensione, reperti delle guerre, armi, camere a gas...
L’attraversamento di quei corridoi induce inquietitudine e tristessa, condite
con orrore e sgomento, un pò come il musei del KGB di Vilnius. E’ davvero
triste pensare che persone come noi abbiano subito simili soprusi e violense
per mano di pochi uomini folli, e questo discorso non è confinabile
all’Albania, ma a tutti i popoli e regimi.
Una singolare opera che destò l’interesse dell’Ingegnere fu: Il Mostro della
Dittatura. L’installasione realissata dall’artista albanese Rajomnda Zajma
mostra una figura antropomorfa, che descrive la dittarura con le parti che
realissano il corpo umano, vediamo infatti un televisore come testa, che
illustra il potere che ha l’informassione sul nostro pensiero ed il busto come
unagabbia contenente filo spinato alla guisa dell’intestino. Gli orecchi sono
cornette telefoniche della Sigurimi o, comunque utilissati negli uffici delle
dittature. Le mani, quali attuatori del
pensiero, son costituite da un mitra ed un rastello, ad esemplificare
l’attuassione del pensiero da parte del dittatore: il lavoro forsato e la
violensa armata. La bocca è una maschera
antigas come a voler dire che le parole, nella dittatura, devon esser filtrate
e gli occhi due telecamere per videosorvegliansa. L’artista, Rajomnda Zajma,
con il suo lavoro spiega che i mostri coisctuiscono i loro imperi in modo
dalnon esser deposti, quindi controllano le telecomunicazioni, si avvalgono di
armi e protessioni di ogni genere e, qualora volessimo combatterli, dovremmo
far attensione al mostro che è in noi!
Contrapposto all’angosciante museo, il programma di
viaggio suggeriva la visita ad uno dei luoghi più emblematici di Tirana: il
Basar. Non poche volte si è discettato sull’atavica amicissia fra Turchia ed
Albania ed una delle prime cosa che salta alla mente quando si parla di Oriente
è il basar. Le origini di queste si perdono nelle sabbie del tempo o, se si
preferisce, nei sacchi di spessie, tuttavia si conosce con certessa la puntuale
tradussione della parolina persiana bāzār, vale a dire luogo dei pressi,
inquanto lì venivano proposti i pressi di tutte le merci fruibili dal popolo. Soprassedendo
sulla storia e sulla descrissione dei basar, che avrà luogo in occasione di
viaggi in Medioriente, quello di Tirana ha origini antiche, con ogni
probabilità risale all’epoca ottomana, ad ogni modo con il crescere della
popolassione ed il nuovo assetto del paese il vecchio basar, assieme alla
Moschea di Solimano, hanno lasciato posto a Pazari i Ri [Nuovo Mercato
Coperto]. Fondato nel 1939 nell’area del vecchio mercato pubblico, ossia la
sona più antica della capitale, Nuovo Basar si presenta come una struttura
futuristica in vetro ed acciaio. All’interno di una sorta di capannone dai
sottili pilastrini in acciaio nero e vetro, ospita il luogo che, forse più di
ogni altro, celebra il connubio fra Albania e Turchia. Banchi ricolmi di frutta
fresca, carne in bella vista, covoni di spessie, tappeti, panetti di tabacco,
piccoli elettrdomestici, pesce appena pescato, giocattoli e tessuti sono i
condomini della colorata struttura che alloggia il mercato di Tirana.
Passeggiando fra gli ampi viali pedonali e le anguste stradine fra le
bancarelle, si respira un’aria profumata di spessie e di frutta che, perentoriamente,
riporta in oriente, prossima meta di Fritz!
Non tutti sanno che Tirana è bagnata da un fiumiciattolo, un minuto fiumetto
che nella sona centrale della capitale: il Lanë. Deve la sua popolarità, il fiumiciattolo
Lanë, al ponte in pietra che lo sormonta dal XVIII S. L’età del viadotto
pedonale, le struttura a tripla arcata tutta in pietra e le dimensioni, rendono
il Ponte dei Conciatori una piccola perla dell’architettura ed a ragione di ciò
che si è preferito deviare il fiume e no abbatterlo durante il riassetto della
città; la passerella in pietra è alto 3.5m, larga 2.5m e lunga 8.0m. Oggigiorno
Urë e Tabakëve è per lo più un’attrassione turistica, ma in epoca ottomana esso
era un importantissimo punto di transito sia perché conduceva alla Moschea dei
Conciatori, sia poiché collegava Debar, in Macedonia e quindi a ridosso
dell’altopiano albanese, a Tirana, passando per il villaggio di Shëngjergj [San
Giorgio]. Questa era una strada di vitale importansa per i locali, da sempre
versati nella pastorissia e nel commercio di bestie e ciò è anche confermato
dal nome del passo in pietra: Ponte dei Conciatori dato che nelle sue immediate
prossimità eran allestite botteghe di pellai, conciatori e macellai. La prima
mattina a Tirana fu inaugurata dal buon caffè turco sorseggiato dall’Ingegnere
e, a beneficio dei profani, si racconta che questo viene portato ad ebolissione
nella sabbia rovente. Sabbia delle spiagge adriatiche o del deserto degli
ottomani o ancora sabbia che, alla guisa della paprika, spargiamo sul gulasch,
per dare un sapore romantico a queste sterili pagine. Il Romanticismo è un
canone letterario nato nella Germania Ottocentesca e corrottosi in Regno Unito.
Un carattere della corrente di pensiero comune a tutte le sue articolassioni
regionali è il nassionalismo che, oltre ad essere uno dei tratti distintivi del
albanico popolo, è anche la pergamena che racconta un’antica leggenda
ambientata dall’alta parte del Ponte dei Conciatori, probabilmente sulla Jabllanica o sulle Alpi Albanesi.
Un tempo ormai lontano, quando le pecorelle belavano sui colli albanesi ed i
cacciatori armati d’arco e freccie s’aggiravan sui monti, un giovane ragasso
vide volteggiare una maestosa aquila che, poco dopo, si appollaiò sullo sperone
del monte e lasciò al suo aquilotto un serpente per merenda. Ancora non morto, il rettile insidiò il piccolo volatile e
subito accorse il giovane cacciatore che, scoccando una freccia, colpì il
serprente e prese in salvo il cucciolo d’aquila. Una poderosa voce echeggiò fra
i costoni delle montagne: era mamma aquila che intimava al giovane di riporre
nel nido il suo figliolo, questi si rifiutò adducendo a sua difesa di averlo
salvato dal serpente, così la grande aquila promise che, se avesse riavuto il
figlio, gli avrebbe donato una vista sopraffina ed una grande forsa, e così
avvenne. L’aquilotto ed il cacciatore divennero d’allora inseparabili e più
tardi il giovane forsuto diventò un difensore della patria, fino ad esser
incoronato re e battessato Shqipëtar, tradussione di aquila,
dalla quale discendono il nome dello stato ed il nassional vessillo.
Le bandiere albanesi,
come ali di aquila, sventolano fiere sulle possenti mura del Kalaja e Tiranës. Questo è
l’impropriamente noto Castello di Tirana, infatti più che un castello è la
Fortessa Giustiniana e la sua storia inissia prima del 1300 quando era l’origine
dalla quale dipartivano le strade della città: nel cento della fortessa si
interesecavano le direttrici che conducevano da nord a sud, da ovest ad est.
Dell’attule Kalaja e Justinianit non restano che un posso, tre torri e qualche
muro di cinta che, con il suo aspetto gagliardo induce una certa riverensa ai
pochi resti superstiti; le mura, infatti, sono alte ben 6m, sono in pietra a
vista e molto spesse e, si ritiene, siano di epoca ottomana. A suffragio di
questa tesi vi sono i proprietari del maniero, la Familja Toptani, una nobile e
ricca famiglia, alla quale gli ottomani regnanti in era balcanica, affidarono
l’edifico ed il paese; era costume ottomano, come nel Feudalesimo, demandare la
gestione di una provincia ad un feudatario ed a Tirana c’era Murat Toptani, i
cui discendenti ancora esistono. La Fortessa dei Toptani è oggi un grande basar,
con negossi, ristoranti, lounge bar e negossi di souvenir e lì che i tre
consumarono l’ultima cena albanese.
A gran dispetto di
quanto si possa pensare, la capitale dello stato balcanico vanta diverse torri.
Non solo Kulla e Sahatit o i minareti dominano lo skyline di Tirana, ma molto
grattacieli svettano nel cielo della città e primo fra tutti è la Skytower,
moderno hotel di 17 piani che sorge a pochi minuti dalla piassa centrale. Al
termine del tour della città, i tre si riproposero di bere un cocktail nel bar
dell’albergo più alto di Tirana, ma non fu possibile a causa del restauro che
interessava il grattacielo in quei giorni; tuttavia si consolarono con
un’inattesa e graditissima sorpresa: il müessin. Quali cittadini di un paese prevalentemente
islamico, gli albanesi espletano il loro credo secondo i dettami del Glorioso
Korano e questo prevede che il fedele debba salmodiare per cinque volte dal
minareto l’adhān alla ṣalāt, ossia il richiamo alla preghiera canonica. Orami
al tramonto, rammaricati di non aver consumato drink nel bar della Sky Tower, i
tre tornarono in Piassa Skandenberg e subito udirono il canto del talacimanno.
Fu un momento solenne e denso di significato: tutta la piassa si paralissò,
molti si inginocchiarono in diressione della Mecca, le auto si fermarono a
centro strada e non si poté che esser colmi di stupore e fede. Sebbene ancora
in Europa, Fritz ebbe un assaggio di oriente ed osservò che, al di là delle
mistificassioni e delle distorsioni, l’Islam è una religione di pace ed Allah è
un dio che, con paterno amore, rammenta ai suoi figli l’ora della preghiera.
Basti leggere il Korano o studiare un po' per comprendere che il terrorismo non
è giustificato dall’Islam, ma è solo una ignominiosa strumentalissassione della
religione dei figli di Abramo!
Grati per il dono
ricevuto, i tre tornarono in “Italia” cenando nella pisseria del castello, ove
è preparata una pissa buona come a Napoli.
Nanet e Mire!
Domenica, 30 Ottobre 2022
Attraversando
le strade di Tirana, saltan agli occhi vestigi musulmani o, in generale
orientali, gabellando l’errata idea che l’Albania sia sempre stata una
provincia turca. La dissolussione dell’Impero di Bisansio ingenerò la
formassione di staterelli orbitanti attorno al decaduto impero e fra questi
spiccava il Principato di di Arbër, germe
dell’albanico stato. Esso fu il primo paese albanese del Medioevo, fu
fondato da Progon, primo sovrano albanese, che nel 1190 elesse a capitale la
piccola Krujë, anche nota come Kruja o Croia. Il
nome deriva dalla parolina Krua, ossia sorgente, in virtù del fatto che essa
si staglia su una collina pullulante fiumiciattoli e specchi d’acqua. Le prime
notissie del paese risalgono al III S AC, anche se il periodo di maggior
splendore fu il Medioevo. Seppur minuta, Krujë occupa una posissione strategica: si estende su una collina e collega
il nord al sud, l’ovest all’est del paese ed a ragione di questi due fatti che
divenne capitale del paese.
Il Secolo XV vide l’Europa, l’Asia minore e le Americhe teatri di
importanti avvenimenti storici, primo fra tutti la transissione da Medioevo a
Rinascimento, la Scoperta dell’America e le Crociate, finalissate a contrastare
l’avansata Ottomana nei Balcani, e nel 1445, durante la Battaglia di Prinzren,
Scandenberg liberò il Kossovo dai turchi, come assione della Beselidhja e Lezhës. Con l’avvento del
Rinascimento, ideali nassionalisti dilagaron in Europa, formassioni militari di
carattere difensivo si andavan costituendo di qui e di lì, la Lega di Alessio
ed il Conte Dracula sono esempi del nassionalismo balcanico. Il 28 novembre
1443 l’Albiana proclamò la propria indipendensa dall’Impero ottomano ed il 2
marso dell’anno successivo fu istituita la
Beselidhja e Lezhës {Lega di Alessio}, alleansa militare finalissata ad
osteggiare l’offensiva turca. Essa fu fondata dal Signore di Krujë: Giorgio Castriota I, già Scandenberg {Gjergj Kastrioti Skënderbeu}. Questi, figura di
spicco nella storia rinascimentale balcanica, fu Principe Albanese, Re d’Epiro,
valoroso condottiero, uomo politico e, per il suo eroico impegno profuso nella
difesa della cristinità nei balcani, fu nominato, da Papa Callisto III Athleta
Christi et Defensor Fidei e Nuovo Alessando, da Pio III. Skënderbeu orchestrò
la resistensa albanese dal 1443, anno della Dichiarassione di Indipendensa al
1468, anno della sua morte; in questi 25 anni l’Impero Ottomano non riuscì ad
espugnare l’albanico stato che, fra l’altro, fu l’unico paese dei Balcani a
resistere così tanto all’aggressione turca.
L’epopea del condottiero caprato vide Krujë
come capitale albanese e fu essa la seconda città visitata dall’Ingegnere nel
suo primo viaggio in Albania.
Con un teutoneggiante Miremengjes, pronunciato dall’Ingegnere, i tre si
destarono nel loro grassioso alberghetto, ignari dell’avventura che s’accingevan
a vivere: un singolare viaggio da Tirana alla volta di Krujë. Giunti nella
periferia di Tirana, Frau Mutti e rampolli si ritrovarono in un ampio slargo,
snodo del pubblico trasporto albanese. Un gran numero di minibus e pullman Anni
’80, disordinatamente parcheggiati, attendevano di riempirsi di genti
intensioante a partire per ogni dove. Differentemente da quanto si è avvessi, i
veicoli non riportavano la destinassione, tantomeno era specificato l’orario di
partensa: l’autobus partiva quando si riempiva e raggiungeva la più richiesta
destinassione. Gli autisti o i passeggeri, con dovissia da mercanti,
raggruppavan genti desiderore di partire per un data città o indirissavan le
stesse all’altro bus e, una volta raggiunto un numero congeniale all’autista,
il veicolo partiva per la città designata. Loro furon assegnati ad un minibus
Volkswagen T2. Il nocchiero della strada, contò il numero di passeggeri, fissò
il presso del viaggio e imboccò la strada per l’antica capitale del Principato
di Arbaron. Il presso del viaggio fu calcolato al momento dall’autista che,
durante il tragitto, si fermò più volte in piena strada per far salire a bordo
altri viaggiatori. Inutile dire che il veicolo era superaffollato, che i
passeggeri eran ammassati un sull’altro letteralmente e che il minubus si
sostava su strade extraurbane, incurante della presensa o meno della relativa
fermata, per accogliere passanti di sorta e passeggeri di ventura. Sebbene
inconsueto e, volendo tragicomico, quel folkloristico viaggio diede loro modo
di conoscere la vita in Albania e la società, non così dissimile da quella
della Calabria degli anni ‘70. La suddivisione ammistrativa albanese vede 12
prefetture (Qark) equipollenti ai Bundesländer od alle regioni e si trova nella
Qarku i Durrësit a nord di Tirana in quello che, se vogliamo, possiamo chiamare
altopiano albanese. La strada per raggiungere la prima capitale non presenta
grandi differense se paragonata a quelle attraversanti gli Appennini: è una
strada in salita, ricca di tornanti che consente di appressare il paesaggio
balcanico e l’Adriatico. Ancora in autunno, le montagnette eran vestite di un
verde in declino e fra quelle fronde verdone e giallognole sicuramente v’erano
le piante del tee albanese e, con un po' di romanticismo, anche le capre
discendenti da quella che donò il suo cornuto teschio al natio prode. Qualche
rigo fa, Gjergj Kastrioti I è stato epitetato “eroe caprato” in virtù del suo
elmo ottenuto da un cranio caprino ed un ciuffo conico di barba sotto il mento.
La ragione dei peculiari attributi dell’Illiricus Defensor Fidei risiede nella
leggenda che vede il coinvolgimento di capre albanesi ingaggiate nella difesa
del paese. In una delle tante battaglie non conclusesi entro il tramonto, il
condottiero di Krujë, scorgendo un gregge di capre, incaricò i suoi soldati, di
legar alle corna degli animali da formaggio torce e indirissarli verso le linee
turche. Gli avversari, in piena notte, vendendo appropinquarsi a loro un folto
esercito munito di fiaccole, batterono in ritirata, ignari si trattasse di
capre, dando per vinta quella battaglia. A ragione del servigio reso delle
bestie cornodotate, Giorgio Castriota elesse questo e suo animale e si
munì di un suo cranio come elmo.
Indiscusso simbolo dell’epopea del Drago Albanese è il castello di Krujë, proprietà della famiglia Topani. Una torre
semicircolare in pietra bianca troneggia sul monte della cittadina, incutendo
un certo timore a quanti giungon dal basso. Retrostante la torre si leva alta
una struttura poligonale del medesimo materiale che termina a strapiombo con un
maestoso ingresso alla fortezza. All’interno del maniero sono allestiti il
museo etnografico ed il museo dell’eroe nassionale e, poco distante dallo stesso,
si trovan le rovine del vecchio monastero. Una strada ciottolosa, delimitata da
casette in pietra incastonate nella roccia e coperte da tetti, costituisce il
basar medievale dell’antica capitale albanese. Derexhik differisce molto da Pazari i Ri, passeggiando sul viale in pietra, davvero si
ha l’impressione d’esser tornati nel medioevo e, a corroborare questa
sensassione, v’è la merce ivi venduta: oggetti di artigianato locale, tappeti,
come dalla buona tradissione orientale, gioielli e souvenir sono gli articoli
ivi venduti e un posto d’onore spetta al tee di montagna acqusitato
dall’Ingegnere. L’Albania, paese conteso fra tiepido
mare e dolce montagna, grato all’Italia ed amico della Turchia, non ha nulla da
offrire: non ci sono prodotti autoctoni nei supermercati, tutto quello che si
vende è italiano o europeo, di albanese non c’è nulla se non il tee, il tee di
montagna. Conosciuto come Çai Mali o Çai Shqiptar, questo è l’unico, vero,
autentico prodotto albanico, la specialità che delissiò i freddi inverni
dell’Ingegnere e dei suoi cari. I botanici storcon il labbro quando senton
parlar di tee albanese, non essendo il Sideritis
syriaca un vero e proprio tee, bensì un arbusto perenne lamiaceae, le cui
inflorescense e ramificassioni, portate ad ebolissione per circa 10 primi per
restituiscon un infuso simile al tee con proprietà officinali; si consuma,
illustrò la commessa, con succhero e limone o miele oppure al naturale.
La visita alla capitale di Giorgio Castriota terminò con un pranso presso il Bar
Ristorante Eli a base di Byrek e birra Nikšićko Pivo e
Peja Pilsner. Presso il castello, i tre ebber modo di appressare il tipico
costume albanese, la Pacchiana, indossato dal personale del maniero: esso consiste
in una camicia bianca a maniche lunghe, un gilep nero con ricami rossi e una
lunga gonna a pieghe che arriva al ginocchio; il costume si completa con una
cinta rossa in stoffa ed il tipico copricapo.
Il pomeriggio fu speso nella seconda città albenese: la balneare Durrës.
Contrariamente al viaggio verso Krujë, quello alla volta di Durrësi fu decisamengte meno rocambolesco. La città di Durasso è molto nota agli
italiani, sia per le rinomate spiagge affacciate sull’Adriatico, sia per il
passato contemporaneo: eletta a capitale dal Principe d’Albania Wilhelm
Friedrich Heinrich, o Princ Vilhelm Vidi, il 7 masso 1914, fu teatro
dell’attacco austroungarico alla Marina Italiana per poi vedere ingrandito il
porto dagli italiani nel 1934. Durante il Secondo Conflitto Mondiale, fu centro
logistico italiano per le operassioni militari in Grecia e, con l’Armistissio
di Cassabile che scrisse “fine” alla buia epoca fascista, la città fu occupata
dai tedeschi per esser poi ricostruita da Erevan Hoxa e divenire meta turistica
già negli Anni Ottanta. Sotto il regno di Traiano, venne edificato a Durasso, l’Anfiteatro
ancora presente che, fu per molto tempo, il più grande dei Balcani; esso sorge
nella parte centrale dell’attuale città ed a ragione del tempo e dei sismi che
si son avvicendati nella città, non restano che poche rovine. Per via degli
orari dei messi, la visita a Durrësi fu al
quanto frugale, tuttavia la cosa non recò grande dolore all’Ingegnere, che non
fu ghermito dall’indiscusso fascino del secondo comune più popoloso d’Albania.
Preferendo paesaggi montani e temperature fresche e, risaputo detrattore del
mare, Fritz non appressò molto Durrës
ritenendola per molti versi simile a Bari. La somigliansa al capoluogo
pugliese, condivisa dalla compagine, è visibile nel lungomare e nell’epoca di
costrussione rivelata dagli edifici: Durasso somiglia a Bari degli Anni
Novanta.
Un altro elemento in comune con la città adriatica pugliese è il castello: a Bari
c’è il Castello Normanno Svevo, che impressiona per la robustessa della torre,
a Durasso quello venessiano, anch’esso munito di una possente torre,
differentemente da quella normanno-sveva, merlata ed a base circolare. Kalaja e
Durrësit fu commissionato da Anastasio I Dicoro nel V S, sovrano ottomano
originario di Durasso; distrutto dal sisma del 1273 fu risollevato dai
venessiani, ai quali sono dovute le perimetrali torri di avvistamento, e
rinforsato successivamente dagli ottomani. Di grande pregio, e purtroppo non
visitata da loro, è Xhamia e Madhe e Durrësit, ossia la Grande Moschea di Durasso, distinta
da Xhamia e Fatihut. Inissiata nel 1931 su
spinta dei commercianti della città, la grande moschea deve molto al martire
dell’Islam Mustafa Varoshi che acquistò il suolo per la costrussione ed il
trappeto interno direttamente dall’allora Persia. Il progetto prevedeva due
minareti, tuttavia ne fu eretto solo uno dopo anni di travagliate vicende: i
lavori furono sospesi nel 1938 e nel 1697 la moschea in fieri divenne centro
culturale della città, per poi acquistare l’attuale splendore nel 1994, grassie
a contributi di associassioni arabe. Xhamia e Madhe si presenta come un
edifico a tre piani bianco, il pian terreno vanta un porticato leggermente sinuoso,
quello centrale, più piccolo, finestre arabeggianti e l’ultimo, ancor più
piccino è chiuso da una grande cupola gialla dalla quale svetta lo spicchio di
luna dell’Islam. La costrussione appare
gradevole alla vista e suggerisce di approfondire il significato della falce di
luna. A pochi passi dalle mura di cinta del castello della Serenissima, ci
s’imbatte nella vecchia moschea della città: da Xhamia
e Fatihut. Essa risale al 1502, anno successivola conquesita delle terre
sudbalcaniche da parte degli Ottomani, infatti è intitolata al sultano
conquistatore Maometto II, loro malgrado, i tre non ebbero modo di visitarla,
tuttavia si consolarono con la brillante lessioncina tenuta dall’Ingegner Fritz
che, pur non essendo in Turchia, volle illustrare le origini ed il significato
del simbolo dell’Islam per antonomasia.
La messaluna è universalmente nota come il simbolo dell’Islam al pari della
Croce per il Cristianesimo, tuttavia le sue radici affondano nella sabbie
greche. Nel 340 aC, Bisansio era una città greca di discreta importansa e una
notte fu inaspettatamente invasa da Filippo II di Macedonia, tuttavia l’attacco
non andò a buon fine per il sovrano macedone poiché il cielo diventò luminoso
come di giorno, grassie al improvvisa apparissione di una falce di luna ed una
stella, simboli associati dalla dea greca Ecante, signora dell’occulto, della
magia e degli incontri; da quel momento Bisansio fu consacrata ad Ecante e
acquistò come simbolo la lunetta e la stellina. L’uso ininterrotto ed il ruolo
di Costantinopoli nella storia religiosa islamica hanno indissolubilmente
legato la falce di luna e la stella all’Islam, tuttavia questo simbolo lo si trova
anche in occidente, presso i romani, in epoca medievale e nella Germania
dell’Ing.Fritz.
Nel grande Duomo di Colonia sono conservare in un dorato sarcofago, le spoglie
mortali dei Maggi, sul sarcofago è riportato questo simbolo così.
Tornati a Tirana, i tre consumaron l’ultima cena albanese ed il giorno seguente
tornarono a casa. Del loro viaggio non restano che meravigliosi ricordi, il
vivo desiderio di tornare con Herr Otto Von Baumann, papà di Fritz e Linguista,
quella volta impossibilitato a partire per ragioni lavorative e la conferma che
non c’è peggior cecità se non quella causata dai pregiudissi. Ultimo souvenir
di Tirana furon due lattina di Fanta Exotic, introvabili in Italia, e bevute
dall’Ingegner Säufer Fritz in occasione della pubblicassione di questa pagina
di Diario.
Epilogo
Cosa rende una città più bella di un’altra? Molte volte mi è stata posta questa domanda ed ho sempre detto di non
poter dare risposta, se prima non si definisce il bello. Non è bello quel
che è bello, ma è bello quel che piace, disse qualcuno. Poiché non si
dispone di un archetipo di bellessa, non possiamo valutarla in modo rigoroso,
ma solo incasellarla in slot contestuali e, applicando questo schema a Tirana,
diciamo che essa è bella come Berlino; molti hanno arricciato il naso, ma è
così! Berlino e Tirana sono accomunate dalla storia, più o meno simile, e
dall’ecletticità architettonica. In entrambe le capitali si fondono
architetture diverse ed entrambe le città ostentano desiderio di rinascita.
Berlino è stata capitale del Terso Reich, teatro di violense e bombardamenti, è
stata divisa dal Muro, per poi rinascere negli anni Ottanta e Novanta.
Similmente, Tirana è stata una dette tante città dell’Impero Ottomano, poi
capitale povera e displippata, fiera città italiana ed oggi capitale che guarda
all’Unione Europea. La capitale albanica è un bouquet i cui fiori sono gli
ordini architettonici che si susseguono sulle strade della città e del tempo. L’ensamble
di architettura ottomana, rassionalismo italiano, stile sovietico, colori di
Rama e anche l’aspetto “decadente post Guerra dei Balcani”, assieme alla
commistione di culture ed alla storia sono quello che conferiscono beltà a
Tirana: una città che incanta con poco e con tanto. Non dobbiamo cercare la
bellessa che ammalia l’occhio, ma quella che seduce l’animo, poiché sono il
nostro animo ed il nostro pensiero che ci fanno essere, dopotutto Cogito ergo
sum.
Grato a DIO per i lieti giorni trascorsi nel Paese delle Aquile, Fritz
trascorse il suo inverno sorseggiando il tee di montagna, a dicembre parti per
Praga, a Marso per Varsavia, a giugno per Dublino ed a luglio per Lisbona.
Queste sono altre storie, caro lettore, sono altre storie che sarò felice di
narrarti in altre pagine di questo diario…
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-EU32AL01102022-
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